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Copyright, si riaccende lo scontro. Piattaforme online contro Bruxelles

La replica della Commissione Ue alle accuse di Youtube: “Con le nuove regole remunerazione più equa per gli artisti”. E Google News rincara la dose: “Di questo passo saremo costretti a lasciare l’Europa”

Pubblicato il 21 Nov 2018

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Youtube rimarrà lo stesso che abbiamo conosciuto finora. Lo dice la Commissione Ue rispondendo agli attacchi sferrati dalla piattaforma video contro la direttiva sul copyright. “Gli utenti delle piattaforme online continueranno a fare quello che hanno sempre fatto. Con la differenza – si legge in una nota di Bruxelles – che creatori e autori potranno beneficiare di una protezione maggiore dalle violazioni del copyright”.

“L’economia creativa è minacciata dall’articolo 13 della riforma del copyright dell’Ue”, aveva detto Susan Wojcicki, Ceo di YouTube sul Financial Times – perché rende le Internet companies direttamente responsabili delle eventuali violazioni perpetrate con i contenuti caricati sulle loro piattaforme. “Condividiamo gli obiettivi”, dice la Ceo di YouTube, ma non il metodo, che mette a repentaglio i ricavi di centinaia di migliaia di artisti e creativi sul canale video di Google.

Oggi intanto la piattaforma inaugura un pop up che mette in guardia dall’articolo 13 della riforma: “L’articolo 13, così come è stato formulato dal Parlamento europeo – si legge su Youtube -, creerà gravi conseguenze indesiderate per tutti. Collaboriamo per trovare una soluzione migliore”.

La Commissione replica: “Oggi le quattro più grandi piattaforme, tra cui YouTube, hanno complessivamente 2 miliardi di utenti che accedono a centinaia di ore di video e musica caricate ogni minuto. Al momento, la maggior parte del valore aggiunto rimane alle piattaforme. Dobbiamo colmare questo divario di valore e garantire una migliore remunerazione per i creatori”. Poi qualche numero: YouTube, spiega la Commissione Ue, è la più grande piattaforma di video online al mondo con 400 ore di contenuti video caricati ogni minuto. “YouTube ha annunciato di aver incrementato le revenue dell’industria musicale nell’ultimo anno: tuttavia, nel 2017 i creatori di contenuti e gli artisti hanno ricevuto solo 65 centesimi di dollari per utente all’anno in royalties”.

Non è solo Google a fare la voce grossa contro l’impianto della direttiva europea sul copyright. Le associazioni di settore che rappresentano gli Internet service provider e gli aggregatori di contenuti online attivi in Europa (tra cui EuroISPA, EDiMA e la Computer & Communications Industry Association, che ha rappresenta tra gli altri Google, Facebook, BT e T-Mobile) hanno inviato i loro commenti alle autorità dell’Ue chiedendo delle soluzioni di compromesso sulla riforma e, in particolare, sui controversi articoli 11 e 13.

L’articolo 11 rende gli aggregatori online responsabili di remunerare i detentori del diritto d’autore quando riproducono anche solo parti (snippet) dei loro articoli: i player del settore vorrebbero che la regola coprisse solo la riproduzione dell’opera intera, non di una porzione o di un semplice collegamento ipertestuale. C’è di più: gli Isp e le piattaforme come Google e Facebook vorrebbero che la riforma includesse un sistema di opt-out da quanto prevede l’articolo 11; in pratica le aziende dei media dovrebbero poter scegliere di non farsi remunerare dagli aggregatori, soddisfatti della visibilità che queste piattaforme garantiscono.

Sull’articolo 13, che rende gli aggregatori direttamente responsabili delle violazioni del diritto d’autore perpetrate tramite i contenuti caritati sulle loro piattaforme, le imprese del settore vorrebbero che ne fosse limitata l’applicazione a materiale audio-video e che fossero esclusi dalla responsabilità operatori come gli Isp e le piattaforme che forniscono applicazioni o infrastrutture. Si chiede inoltre di prevedere la possibilità che l’aggregatore, pur se il materiale caricato è protetto da copryright, abbia agito in buona fede. Senza misure che mitighino la responsabilità delle piattaforme Internet “i servizi online aperti non potranno operare in Europa, il rischio è troppo alto”, si legge nei commenti inviati a Bruxelles.

Una velata minaccia di chiudere i battenti perché in Ue non conviene più fare affari: sul Guardian il vice-president of news di Google, Richard Gingras, ha detto che “non ci fa piacere chiudere un servizio” ma che Google è molto preoccupata dall’impianto normativo approvato dal Parlamento europeo e ora affidato alle discussioni del trilogo. “Non vorremmo trovarci costretti a chiudere un servizio in Europa; per adesso intendiamo lavorare con gli stakeholder”.

La stessa YouTube punta a riorganizzarsi. La piattaforma di Google si appresta a lanciare un nuovo modello: film con interruzioni pubblicitarie, esattamente come nella Tv tradizionale. Youtube inaugurerà una sezione specifica con un centinaio di titoli per “nostalgici”, una mossa che mira a rosicchiare utenti dallo streaming di Amazon e Netflix ma anche a fronteggiare la concorrenza sempre più agguerrita dei social network che puntano dritto sui video.

YouTube consente già di acquistare e poi guardare in streaming film recenti e classici, in un catalogo sempre più in espansione. In sordina, all’inizio di ottobre ha lanciato anche una nuova sezione: ospita pellicole più vecchie e permette di vederle gratuitamente a patto di guardare un po’ di pubblicità. Questa sezione è rintracciabile nella pagina dove ci sono già i film a pagamento. In Italia non è ancora presente.

“Abbiamo colto questa opportunità basandoci sulle richieste degli utenti e l’abbiamo aggiunta all’offerta di film a pagamento. Una bella occasione per gli inserzionisti”, ha spiegato Rohit Dhawan, dirigente di YouTube, in un’intervista ad AdAge.

Tema sensibile per Google, proprietaria della piattaforma video che conta due miliardi di utenti, è proprio la pubblicità da cui deriva la fetta più consistente dei suoi guadagni. L’apertura della sezione di film gratis interrotti dagli spot potrà dunque attirare più inserzionisti e anche rappresentare un’oasi di contenuti sicuri su cui investire. Quasi un anno fa, infatti, è scoppiato il polverone delle pubblicità finite su video violenti o con contenuti d’odio che ha provocato il dietrofront di alcune grosse aziende, con Big G che ha bruciato in poco tempo quasi 23 miliardi di dollari. Altro tema sensibile per YouTube è l’assalto delle piattaforme tecnologiche e dei social al settore della produzione di contenuti e dello streaming.

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