IL CASO

Il Parlamento Uk vs Facebook: “Basta fare i gangster, servono regole più severe”

La commissione su diritti e media accusa il social di violare consapevolmente le info degli utenti. E chiede una maggiore regolamentazione anche per limitare la diffusione di fake news

Pubblicato il 18 Feb 2019

Antonio Dini

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Mesi di audizioni, incontri, indagini. Alla fine, il comitato parlamentare d’inchiesta dei parlamento britannico è giunto a una conclusione: Facebook ha fatto opera di disinformazione e manipolazione politica. E pertanto deve pagare.

L’azienda, secondo i parlamentari britannici (come riporta la stampa anglosassone), ha fornito risposte “disoneste” e “in malafede” alle preoccupazioni democratiche circa l’uso improprio dei dati delle persone. Nel rapporto pubblicato oggi il comitato ha anche chiesto che l’uso di dati dell’utente da parte di Facebook venga investigato dal sistema di controllo dei dati del Regno Unito. Spazio all’antitrust, insomma, con le sanzioni che possono seguire.
In una sessione alla fine dello scorso anno, l’Ufficio del Commissario per le informazioni (ICO) ha suggerito che Facebook deve cambiare il suo modello di business – così come si sta comportando invece l’azienda (secondo i politici) rischia di bruciare la fiducia degli utenti per sempre.

L’inchiesta parlamentare del Regno Unito ha esaminato l’utilizzo dei dati personali da parte di Facebook per favorire i propri interessi commerciali, ad esempio fornendo l’accesso ai dati degli utenti a sviluppatori e inserzionisti al fine di aumentare le entrate e l’utilizzo del social; e ha esaminato ciò che Facebook ha affermato essere “abuso” della sua piattaforma da parte della società ora caduta in disgrazia (e quindi chiusa) Cambridge Analytica – che nel 2014 ha pagato uno sviluppatore con accesso alla piattaforma di sviluppo di Facebook per estrarre informazioni su milioni di utenti di Facebook nella compilazione di profili elettorali per cercare di influenzare le elezioni.

La conclusione del comitato sulle attività di Facebook è che l’azienda è dannosa perché – è l’accusa – gestisce un modello di business che si basa sulla vendita di accesso abusivo ai dati delle persone.
«Siamo molto lontani – è scritto nella relazione finale del comitato – da una reazione di Facebook contro le app che abusano delle informazioni degli utenti. Invece queste app sono parte intrinseca del modello di business di Facebook. Questo spiega perché Facebook ha reclutato le persone che hanno creati app come queste, come Joseph Chancellor [il co-fondatore di GSR, lo sviluppatore che ha venduto i dati degli utenti di Facebook a Cambridge Analytica]. Nulla nelle azioni di Facebook supporta le dichiarazioni di Mark Zuckerberg che, riteniamo, sono in realtà semplicemente relazioni pubbliche in un momento di crisi, quando il suo reale modello di business è stato esposto».

«Questo – continua il rapporto –  è solo un esempio della malafede che crediamo giustifichi i Paesi in cui si trova una attività come quella di Facebook di ternerla invece lontano in tutti i modi. Sembra chiaro per noi che Facebook agisce solo quando le sue gravi violazioni diventano pubbliche. Questo è quello che è successo nel 2015 e nel 2018».

«Riteniamo che il trasferimento di dati in cambio di una monetizzazione sia il vero modello di business di Facebook e che l’affermazione di Mark Zuckerberg secondo il quale “Non abbiamo mai venduto i dati di nessuno” è semplicemente falsa», conclude il comitato. Nelle 110 pagine del rapporto ci sono non solo abbondanza di prove e indicazioni del comportamento di Facebook, ma anche varie raccomandazioni: miglioramenti delle leggi per la privacy nel Regno Unito per meglio proteggere i cittadini, interessamento dell’antitrust, cambiamento delle leggi elettorali nella parte delle campagne elettorali per proteggerle dalle influenze di soggetti come Facebook, e l’apertura di altre investigazioni da parte del governo e della magistratura.

E infine la richiesta di fare in modo che le piattaforme social distinguano tra giornalismo di qualità e informazioni di bassa lega, lavorando con gli editori per fare in modo che questa distinzione risulti ancora rilevante per gli utenti.

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