UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA

Banda larga, Yoo: “Deludenti le politiche italiane”

L’analisi della University of Pennsylvania: Italia sotto la media Ue in quanto a disponibilità di infrastrutture e servizi innovativi, ma l’Agenda digitale può chiudere il gap

Pubblicato il 21 Lug 2014

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Gli Stati Uniti battono l’Europa sulla banda larga, grazie a politiche molto più favorevoli a innovazione e investimenti. Lo dice uno studio del Prof. Christopher Yoo della University of Pennsylvania, che si propone di fornire le prove, dati alla mano, delle falle del sistema europeo che regola lil broadband come una utility. Lo studio analizza nel dettaglio otto Paesi europei, tra cui l’Italia, il cui quadro viene definito “deludente”: da noi i tassi di accesso alle reti di nuova generazione sono “di gran lunga i peggiori d’Europa (l’11% nel 2011 e del 14% nel 2012), ben al di sotto della media europea (48-54%) e lontanissimi dagli Usa (73-82%). E l’acccesso di nuova generazione nelle aree rurali è lo 0%, contro tassi europei del 9-12% e statunitensi del 38-48%”. Anche i prezzi degli abbonamenti sono alti e le velocità di download e il consumo totale di banda bassi.

Come si è prodotta questa situazione? Lo studio esamina prima il quadro generale europeo, rilevando che nel periodo 2011-2012 l’accesso di nuova generazione alle reti (Nga, Next generation access), ovvero con velocità di 25 Mbps e oltre, raggiungeva l’82% della popolazione negli Usa, ma solo il 54% nell’Ue. La copertura del 4G/Lte mobile negli Usa è tre volte maggiore che in Ue e la Fiber to the home (Ftth) è diffusa quasi il doppio negli Usa che in Ue. La Fiber to the premises (Fttp) raggiunge il 23% della popolazione americana contro il 12% in Europa. Questo accade, spiega lo studio, perché l’approccio regolatorio light statunitense stimola i fornitori del broadband a investire nelle reti. Infatti, la spesa degli operatori negli Usa ammonta nel periodo considerato a 562 dollari per famiglia contro i 244 dollari dell’Ue.

“L’Europa si è fondata su regolamentazioni che trattano il broadband come un servizio pubblico e si concentrano sulla promozione della concorrenza basata sui servizi, in cui i nuovi entranti affittano le infrastrutture degli incumbent a prezzi wholesale (unbundling)”, si legge nel report. “Gli Usa invece hanno in linea generale lasciato la costruzione, manutenzione e aggiornamento dell’infrastruttura Internet alle aziende private e si sono concentrati sulla promozione della concorrenza basata sull’infrastruttura, in cui ai nuovi entranti si chiede di costruirsi le loro reti. L’approccio americano si è rivelato molto più efficace nel favorire la copertura Nga di quello europeo”.

Quanto al caso italiano, per il report della University of Pennsylvania conferma due dati generalmente validi in tutta Europa: se manca la concorrenza basata sull’infrastruttura mancano anche gli investimenti per l’aggiornamento delle reti; inoltre, i Paesi che puntano in modo prioritario sulla Fttp hanno la più bassa copertura Nga. E l’Italia ha avuto una iniziale, e comunque importante, leadership nella Fttp, ma non è riuscita a “andare avanti”.

“Le iniziative del governo per promuovere la banda larga non hanno avuto successo”, afferma il report, passando in rassegna diversi programmi, cominciando da quello per lo sviluppo del broadband nel Sud (2003) che doveva investire 2 miliardi di euro per chiudere il gap tra Nord e Sud Italia nell’accesso a Internet, ma ad agosto 2013 era riuscito a spendere solo 329 milioni. Il report cita poi il “Piano nazionale per la banda larga” (2009) che doveva garantire a tutti gli italiani velocità di download di almeno 2 Mbps per la fine 2013 e il cui budget budget totale per il periodo 2009– 2013, inizialmente fissato a 1,5 miliardi di euro, è stato poi ridotto a 1,1 miliardi. Dagli attuali Agenda digitale italiana e Piano strategico banda ultralarga ci si aspetta un cambio di marcia: per lo studio americano, le regioni e le province dovranno lavorare a stretto contatto col ministero per lo Sviluppo economico per raggiungere gli obiettivi dei nuovi programmi.

Sulle diverse tecnologie adottate dall’Italia, la copertura Vdsl è molto bassa (raggiungeva lo 0% delle case italiane nel 2011 e il 5% nel 2012, contro medie Ue del 19-25%), ma il Vdsl sembra essere centrale nelle nuove strategie italiane per il broadband: le nostre aziende, inizialmente interessate all’Fttp, stanno spostando il loro focus su questa tecnologia, comprese Fastweb e Telecom Italia. Assente del tutto Docsis 3 (copertura dello 0%, contro medie Ue del 37%-39% e Usa 72%-81%); il caso italiano è unico per l’assenza della tv via cavo, risultato delle restrizioni normative e del monopolio Rai, indica lo studio dell’università della Pennsylvania. Nell’Fttp, l’Italia è partita bene, con una copertura dell’11% nel 2011, oltre la media Ue del 10%, ma ha poi rallentato (nel 2012, la nostra copertura era dell’11,8% contro la media Ue del 12,3%). Secondo lo studio, “una rete Ftth che copra il 50% della popolazione italiana richiederebbe spese di capitale di almeno 13 miliardi di euro. Telecom Italia ha mostrato un rinnovato interesse nell’Fttp, ma su scala limitata” e ha qualche progetto anche per l’Ftth, ma secondo l’università americana, i maggiori provider italiani sono più interessati al Vdsl e “l’attuale basso livello di copertura Nga giustifica questa scelta”.

L’Italia è stata lenta nell’adozione dell’Lte, continua il report, anche se la situazione è migliorata nel 2012: la copertura Lte era lo 0% a fine 2011, ma ha raggiunto il 17% a fine 2012, chiudendo così il gap con la media Ue, anche se non con gli Usa (68-86%). Tuttavia, nelle zone rurali la copertura Lte resta lo 0%.

“Tutto considerato, e nonostante le promesse nell’implementazione iniziale della Fttp, le politiche italiane sulla banda larga sono da considerarsi deludenti”, conclude il caso di studio sull’Italia. “Ancora a gennaio 2014, l’obiettivo di dare a tutti i cittadini italiani accesso alla banda larga standard (144 kbps) non era raggiunto. Sulla copertura Nga l’Italia è ancora più indietro, anche se le più recenti iniziative del governo italiano potrebbero finalmente chiudere il gap”.

Secondo lo studio, in generale, i Paesi che si sono fondati sulla Fttp in assenza di una forte industria del cavo (come in Italia) sembrano aver avuto risultati peggiori in Europa nello sviluppo della banda larga. Inoltre, a proposito dello spostamento dell’attenzione dall’Fttp al Vdsl, lo studio mette in guardia dall’errore di favorire in modo esclusivo una tecnologia per raggiungere rapidamente gli obiettivi della Digital Agenda. “Anche l’Fttp ha un ruolo importante in una strategia di implementazione della banda larga”, si legge nel report. “Laddove si realizza nuova infrastruttura, l’Fttp rappresenta la migliore opzione sul lungo termine. Ma anche Vdsl e Docsis 3 sono importanti, come tecnologie-ponte che permettono alla fibra di essere implementata meglio nella rete o come modalità per servire le aree rurali. Sarebbe necessario considerare una strategia bilanciata in cui ogni singolo Paese tenga conto delle proprie peculiarità”.

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