LAVORO

Call center: fondi Ue-Ilo per delocalizzare, sindacati sul piede di guerra

L’organizzazione del Lavoro dell’Onu considera lo spostamento di attività dall’Italia all’Albania un “esempio virtuoso” per sostenere le aree depresse. Slc e Uilcom all’attacco: “Così si innesca una bomba sociale. Il governo intervenga”

Pubblicato il 02 Lug 2014

Federica Meta

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Un programma dell’Ilo (International Labour Organizaztions), l’agenzia per il lavoro dell’Onu, finanziato con fondi dell’Unione europea è servito ad effettuare cospicue delocalizzazioni dall’Italia verso l’Albania, da parte di aziende interessate a tagliare i costi sul personale dei call center. Tramite questo schema hanno potuto reclutare immigrati albanesi in Italia, che già parlavano fluentemente la lingua, per assumerli nel loro paese di origine, principalmente a Durazzo, come addetti a circa 300 euro al mese (con orario a tempo pieno).

Il tutto viene descritto dalla stessa Ilo come un esempio virtuoso di una tendenza che si è accentuata a seguito della crisi economica, e che riguarda anche delocalizzazioni dalla Grecia, sempre verso l’Albania, e da altri paesi europei verso Stati con costi del lavoro più bassi e compatibilità linguistiche. Come dalla Francia verso Tunisia e Marocco e dalla Gran Bretagna verso l’India.

L’Ilo cita il caso di una giovane albanese laureata in legge in Italia, che dopo 13 anni è tornata in Albania perché non trovava lavoro come avvocato nella Penisola. E non lo ha trovato nemmeno in Albania ma ha potuto rientrare facendosi appunto assumere ad un call center “beneficiando dell’assistenza tecnica di un programma Ilo finanziato dall’Unione europea”. Programma che puntava a modernizzare gli uffici di collocamento locali. Le basse paghe locali, rispetto agli standard dell’Italia e dell’Ue, corrispondono a costi della vita più bassi, precisa l’Ilo.

Con un comunicato l’organizzazione dell’Onu cita anche un italiano che fa da consulente alle società che delocalizzano in Albania, Maurizio Ribandone, che ammette come il boom dei call center sia stato alimentato dalla crisi in Italia, ma aggiunge che questo segmento rappresenta una importante fonte occupazionale per l’Albania, a sua volta afflitta da elevata disoccupazione. Il consulente prevede che la tendenza proseguirà, sfruttando anche le nuove opportunità di comunicazione assicurate dalle chiamate via internet e dai social network.

Pronto il commento dei sindacati al comunicato dell’Ilo. Michele Azzola, segretario nazionale della Slc, si dice “sconcertato del fatto che fondi Ue sono stati utilizzati per delocalizzare attività”. “Si tratta – puntualizza Azzola al Corriere delle Comunicazioni – di un trend che aiutano sì a sostenere l’occupazione in Albania ma a scapito della tutela e della privacy dei dai degli utenti”.

“Mi chiedo se il governo italiano sia a conoscenza di questi fatti – dice il sindacalista – E soprattutto se è consapevole che siamo seduto su una bomba sociale creata dalal crisi occupazione nel settore dei call center. In questi giorni infatti Teleperformance ha annunciato di essere pronta ad abbandonare Taranto mettendo a rischio 2mila posti di lavoro mentre 4U, che opera a Palermo, vuole voler abbandonare l’Italia”.

Per Salvo Ugliarolo, segretario nazionale Uilcom, il punto non è essere a favore o contro le delocalizzazioni. “Il punto – spiega il sindacalista – è che in Italia le delocalizzazioni vengono utilizzate solo ed esclusivamente per tagliare il costo del lavoro, portandolo addirittura al di sotto dei minimi salariali, complice anche il quadro legislativo”.

Il riferimento è alle norme sulle cessioni di ramo d’azienda e sugli appalti – nel nostro Paese non è applicata la direttiva europea che prevede che i lavoratori seguano la commessa – nonché la diffusione di gare al massimo ribasso che costringono “i call center a portare il lavoro altrove senza, tra l’altro rispettare l’articolo 25 bis del pacchetto di riforma Fornero che obbliga le imprese a comunicare al Mise, 120 giorni prima, la delocalizzazione delle attività e il volume delle stesse”.

“Serve dunque – conclude Ugliarolo – dare subito seguito al tavolo di confronto aperto al Mise aperto a fine maggio nel quale abbiamo chiesto al governo di produrre semplici modifiche legislative per migliorare le condizioni di chi lavora nei call center garantendo continuità occupazionale e strutturare e consolidare il settore in modo che le aziende riprendano a competere sulla qualità”.

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