Il direct-to-device (D2C) è uscito dallo spazio delle nicchie per diventare un elemento strategico imprescindibile nelle roadmap dei principali operatori di telecomunicazioni. Con l’ultimo rapporto Gsa che rivela come siano oltre 170 collaborazioni tra operatori e satelliti in 80 paesi, e 34 operatori che hanno già lanciato servizi commerciali, è chiaro che il mercato del direct-to-device sta attraversando una fase di transizione decisiva. Tale evoluzione segnala un passaggio da scenario futuribile a modalità operativa concreta, con implicazioni importanti sul fronte infrastrutturale, regolatorio, tecnologico ed economico per il comparto telco.
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Direct-to-Device, lo scenario globale
L’analisi della Global mobile Suppliers Association (Gsa) evidenzia che il direct-to-device ha registrato, fino ad agosto 2025, 12 lanci commerciali e 24 progetti in trial o comunque licenziati, con ulteriori 28 partnership in via di sviluppo. Si tratta di dati che confermano la crescita accelerata del segmento rispetto a poche stagioni fa, quando solo poche aziende stavano esplorando il potenziale dei collegamenti diretti via satellite. Gli operatori terrestri e quelli satellitari stanno convergendo su modelli che prevedono servizi diretti verso dispositivi mobili – quando non verso celle (D2C) – integrando capacità non terrestri (Ntn) con reti 5G. Questo mutamento si innesta su tendenze già in atto: aumento della domanda di copertura nelle aree rurali, espansione delle applicazioni IoT, resilienza delle reti in situazioni di emergenza o isolamento infrastrutturale.
Principali attori e mosse strategiche
Tra i protagonisti emergono Starlink, Ast SpaceMobile, Lynk Global, con Starlink capofila in termini di partnership riconosciute: 44 accordi noti, con T‑Mobile Usa incluso, dove opera già servizi direct-to-device. Starlink ha acquistato licenze spettro da EchoStar (tra cui spettro in banda S e in altre porzioni Mss/Ntn) con l’obiettivo, ha dichiarato la società, di diventare un “global carrier” che fonde capacità satellitare e terrestre, collaborando con produttori di chip e operatori mobili nel disegno dei dispositivi. Altre imprese, come Project Kuiper (Amazon) e Iridium nel contratto con Deutsche Telekom, sono anch’esse in fase avanzata verso lancio di servizi.
Una mossa significativa è quella di Viasat che ha costituito una joint venture con la spacetech Space42 per proporre servizi direct-to-device “wholesale”, basati su una infrastruttura tipo towerCo, per terzi. Questo tipo di modello infrastrutturale potrebbe alleggerire il carico sulle telco tradizionali ma richiederà accordi chiari su spettro, regolamentazione, interoperabilità.
Frequenze, dispositivi e regolazione: ostacoli e leve
Il successo del direct-to-device dipende da tre nodi critici: spettro, dispositivi compatibili, regolamentazione equilibrata. Per lo spettro, la banda Ka rimane quella più utilizzata, ma bande L e S stanno guadagnando importanza. Starlink ha acquisito licenze Mss e frequenze S‑band per il mercato Usa ed Europa, con l’idea di collaborare con produttori di chip per includere le nuove frequenze nei dispositivi mobili.
Quanto ai dispositivi, il punto dolente è la compatibilità: pochi smartphone oggi supportano la connettività satellitare per direct-to-device, e il costo di integrazione non è trascurabile. Le aziende in prima linea stanno investendo nello sviluppo di moduli hardware e soluzioni firmware che possano essere integrate nei device già esistenti o futuri, ma i tempi non sono immediati.
Sul versante regolatorio la Gsma ha emesso linee guida dettagliate per l’uso dello spettro, sostenendo che le frequenze destinate al direct-to-device non dovrebbero entrare in conflitto con quelle degli operatori mobili terrestri. Serve protezione per i possessori di licenze Imt e per le reti terrestri già in funzione: interferenze, duplicazione di licenze, effetti sulla concorrenza sono rischi da mitigare.
Impatti sul mercato telco e sull’infrastruttura
La trasformazione in atto con il direct-to-device porta sfide ma anche opportunità strategiche per i telco. Le reti terrestri, in particolare quelle che mirano a offrire banda ultralarga, potrebbero vedere nel direct-to-device un complemento utile per raggiungere aree dove la fibra non arriva o risulta troppo caro. Soluzioni ibride terrestre‑non terrestre possono garantire copertura capillare, resilienza alle interruzioni e continuità nei servizi.
I modelli di business devono evolvere: gli operatori potrebbero assumere ruoli variabili – da fornitori esclusivi di infrastruttura satellitare, a rivenditori di servizi wholesale direct-to-device offerti da terzi, fino a integrazione diretta nel proprio portafoglio. Le partnership internazionali e gli accordi di roaming spaziale stanno diventando strumenti di competitività.
Le sfide economiche non sono da poco: investimenti in spettro, produzione o acquisizione di chip compatibili, adeguamento normativo e possibile compensazione per operatori terrestri. Chi riuscirà a gestire questo ecosistema con occhi aperti alle sinergie (satellite, infrastrutture terrestri, nuovi servizi) potrà guadagnare una posizione definita nel tessuto digitale globale.
Il ruolo della banda ultralarga e delle applicazioni innovative
La banda ultralarga non è semplicemente un contesto parallelo: entra a pieno titolo nella discussione su come distribuire capacità, servizi e valore. Il direct-to-device può ampliarne la portata, specialmente nei territori marginali, supportando servizi avanzati che la fibra o il 5G tradizionale non sempre possono reggere da soli. Applicazioni innovative come telemedicina, educazione a distanza, smart agriculture, monitoraggio ambientale, mobilità autonoma, emergenza, connettività per natanti o veicoli remoti, tutte trovano nel direct-to-device un potenziale abilitante.
Prospettive future: scenari e raccomandazioni per i telco
I prossimi anni saranno decisivi per come il direct-to-device si strutturerà. Serve che le telco si muovano con agilità: presidiare il processo di standardizzazione (come 3GPP Release 17 e successive), collaborare con costruttori di chip e produttori di dispositivi. Serve che le autorità nazionali e internazionali definiscano regole chiare su spettro, licenze, interoperabilità.
Le imprese devono valutare attentamente se investire direttamente in capacità satellitare, oppure stringere partnership con chi già dispone di infrastruttura, così da minimizzare rischi e costi iniziali. Deve essere chiaro che il tempo di adozione su vasta scala dipenderà anche dalla diffusione di smartphone compatibili, dai costi per l’utente finale, dall’efficienza nello sfruttare bande meno congestionate.
Per il sistema Paese, una strategia nazionale che integri la banda ultralarga terrestre con soluzioni non terrestri può accelerare la riduzione del digital divide. Le politiche pubbliche che incentivano investimenti in spettro e infrastruttura cloud‑satellite favoriranno competitività, innovazione e coesione territoriale.