CENSIS-CENTRO STUDI TIM

In Italia è emergenza “povertà digitale”: il 50% di chi non lavora è offline

Basso livello di occupazione e di istruzione i fattori scatenanti del gap. Le donne più penalizzate. L’Ad di Tim, Gubitosi: “Vincere la sfida competenze”

Pubblicato il 03 Nov 2021

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Il digital divide non è solo strutturale. La “povertà digitale” può essere anche cognitiva/comportamentale. Emerge dal rapporto realizzato da Censis e Centro Studi Tim –  “La digitalizzazione degli italiani. Fattori di spinta ed elementi trainanti” secondo cui “le competenze digitali sono fortemente influenzate dal far parte o meno della popolazione attiva”. Per questo “nessuno deve rimanere escluso”, ha detto l’ad di Tim, Luigi Gubitosi intervenendo alla presentazione del report. La battaglia – ha sottolineato – non è più quella contro il digital divide dovuta alla mancanza di infrastrutture ma contro una più ampia  fragilità digitale.

Il gap digitale fra gli “inattivi”

Tra gli occupati la quota di chi è in difficoltà supera di poco il 5%, ma sale all’11,3% tra i disoccupati e arriva fino a quasi la metà degli inattivi (44,6%). Il basso tasso di attività delle donne in Italia (55,2% in totale, ma sotto il 40% in alcune regioni del Sud), non favorisce l’inclusione digitale.
Chi non è impegnato in un’attività lavorativa (che nel 78,7% dei casi implica l’utilizzo di mezzi digitali), ha molte meno occasioni per utilizzare e sviluppare le proprie competenze digitali.

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I fattori che frenano l’uso del digitale

Il report accende i riflettori sulle donne: il basso tasso di attività delle donne in Italia (55,2% in totale), ma sotto il 40% in alcune regioni del Sud, non favorisce l’inclusione digitale.

Inoltre in Italia il digital divide “è fortemente correlato con il livello di istruzione. Tra coloro che dispongono al massimo della terza media le persone in difficoltà sono la maggioranza (58,7%)”. Anche se non si può trascurare che una quota di persone esposte al digital divide è presente anche tra chi possiede un titolo di studio superiore (15,8%)”.

La sfida del lockdown

Durante gli anni di pandemia è emerso che per aver accesso ad internet chi non aveva le giuste competenze ha provato ad arrangiarsi per superare il lockdown: “Le persone con scarse
competenze digitali, in particolare gli anziani, si sono appoggiate su familiari e conoscenti. Pochi hanno dovuto rinunciare. In futuro si percepisce una maggiore disponibilità a mettersi sotto sforzo personalmente, in parte anche attraverso momenti di formazione”.

Tra le paure, la preoccupazione maggiore è la sicurezza. Il 39,9% arriva ad ammettere di limitare la navigazione al minimo indispensabile. La domanda di sicurezza si rivolge verso l’esterno: l’81,1% degli utenti vedrebbe favorevolmente una limitazione su siti ritenuti potenzialmente dannosi.

Resta anche un divario per età: fino a 44 anni le competenze digitali medie dei cittadini sono tali da poter fronteggiare qualsiasi esigenza. Tra i 45 e i 65 anni il 17,1% dei cittadini entra in sofferenza (3,1 milioni di persone in età lavorativa). Oltre i 65 anni il problema si moltiplica e l’area del disagio copre il 61,9% del totale (circa 8,6 milioni di persone).

Gubitosi: “Nessuno rimanga escluso”

Nel 2026 “vedo un’Italia in cui  dovrebbe essere stata completata la rete, dove continuiamo a  fare progressi: siamo passati da un giga a due e mezzo, fino  ad arrivare a dieci – ha detto Gubitosi -. Il progresso è continuo, e  dobbiamo garantire che lo sia anche per le competenze: nel 2026 ci sarà un’Italia che funzionerà meglio, e tante cose che oggi sembrano dei miracoli saranno scontate”, ha detto.

“Oggi ci stiamo concentrando sulla fragilità digitale -ha proseguito – che tende a manifestarsi in vari modi e creare situazioni di disagio: quando l’esclusione deriva da mancanza di connessione o di device si risolve facilmente, è solo una questione di soldi. Ma il tema è evitare divari di competenze, non c’è solo l’andare in Rete, ma anche il sapere interpretarla”.

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