In Europa ci sono 41 operatori mobili con più di mezzo milione di clienti, contro i cinque degli Stati Uniti. Una frammentazione che, secondo Alessandro Gropelli, brucia efficienza e frena gli investimenti: nel 2023 si è registrato un calo del 2% e mancano ancora fino a 200 miliardi di euro per centrare gli obiettivi della Digital Decade.
In questa intervista, il direttore generale di Connect Europe, l’associazione che rappresenta i principali fornitori di reti e servizi di connettività in Europa, sottolinea come le nuove linee guida sui merger, insieme all’“innovation defense” proposta dal Rapporto Draghi, possano aprire una stagione di consolidamento capace di rafforzare la competitività e la sovranità tecnologica europea. Una sfida che passa anche da regole antitrust più dinamiche e da una visione che non consideri ogni fusione come una minaccia, ma come una possibile leva di crescita e resilienza.
- Gropelli, le nuove linee guida sui merger possono finalmente aprire la strada a una stagione di consolidamento in Europa?
Sì, se la revisione sarà coraggiosa e realmente calibrata sulle sfide di oggi, come suggerito da Letta e Draghi. Oggi l’Europa ha 41 gruppi mobili con oltre 500.000 clienti, contro i 5 degli Stati Uniti e meno ancora in Cina, Giappone o Corea del Sud. Nessun operatore mobile europeo opera su scala realmente continentale.
Questa frammentazione brucia efficienza, soffoca le sinergie e frena gli investimenti: –2% nel 2023 e mancano fino a 200 miliardi di euro per centrare gli obiettivi della Digital Decade. Serve un consolidamento a livello nazionale, per mercati più sani e sostenibili, e che facciano da ponte verso un mercato unico paneuropeo.
Questa è la vera precondizione per una stagione di M&A che rafforzi la competitività e non sia solo un’operazione di sopravvivenza.
- La “innovation defense” proposta dal Report Draghi è la svolta che le telco europee aspettavano?
Può esserlo, se sarà applicata con pragmatismo. Il Draghi Report fotografa bene la realtà: senza scala, le telco europee non potranno mai competere con i colossi americani o asiatici, né guidare l’innovazione in 5G, AI o cybersecurity.
La innovation defense riconosce che alcune fusioni, anche tra concorrenti, possono generare benefici sistemici: più investimenti, reti più performanti, servizi innovativi. Significa passare da un approccio difensivo a uno che vede nell’M&A uno strumento per rafforzare la produttività europea e la sovranità tecnologica, non una minaccia da contenere a priori.
L’idea di base è: sì, la concorrenza aiuta investimenti e innovazione, ma se è troppa li danneggia, specialmente in settori sensibili come il nostro. È un concetto ancorato nelle teorie di Schumpeter, oltre che nel riscontro empirico che vediamo ogni giorno sui mercati.
- Resilienza, sostenibilità e sicurezza strategica possono legittimare nuove operazioni di M&A tra operatori europei?
Assolutamente sì, soprattutto dopo l’accordo commerciale USA-UE di quest’estate, che ha purtroppo rafforzato il già eccessivo potere dei giganti del tech americano.
La connettività è oggi un’infrastruttura critica per energia, industria, sanità, sicurezza. Se vogliamo un’Europa autonoma e resiliente, dobbiamo permettere ai nostri operatori TLC di raggiungere la scala necessaria per investire in 5G standalone, reti in fibra, sicurezza informatica, cloud, ma anche in moderni strumenti di difesa.
Trattare ogni fusione come una minaccia è come vietare le medicine perché esistono gli effetti collaterali: il rischio è bloccare cure di cui l’UE ha bisogno da anni per tornare a crescere e innovare.
- L’attuale quadro antitrust sa cogliere le sfide del cloud e dell’AI?
Non ancora. Le regole sono state pensate in un’epoca in cui la globalizzazione era in ascesa e in cui l’UE non aveva ancora sviluppato le dipendenze tecnologiche odierne. Le tlc uscivano dal “monopolio del rame” e i mercati digitali non erano dominati dai dati.
Oggi parliamo di ecosistemi digitali, dove reti, cloud e piattaforme sono interconnessi e dominati da player globali extra-UE. Un’analisi più predittiva e dinamica è necessaria per capire non solo i rischi, ma anche le opportunità che nascono da certe concentrazioni: ad esempio, come un’operazione possa accelerare l’adozione di AI sicura o di servizi cloud europei.
Mantenere regole rigide e lineari in mercati dinamici significa rischiare di proteggere lo status quo a scapito dell’innovazione.
- Le presunzioni legali contro fusioni “rischiose” possono frenare investimenti virtuosi?
Sì, e il settore TLC europeo non può permetterselo. Presunzioni automatiche che bloccano un’operazione prima ancora di valutarne i benefici concreti in termini di competitività o sicurezza, ad esempio, finiscono per scoraggiare gli investimenti.
Già oggi gli operatori europei non riescono a recuperare il costo del capitale, poiché il ritorno sul capitale investito è basso. Serve un cambio di paradigma: non ogni riduzione di operatori equivale a meno concorrenza; in molti casi significa più capacità di investire e offrire servizi migliori a cittadini e imprese.