“Allargare lo spettro dell’offerta, raccontando altre cose oltre alla pura connettività” e proporsi come “motore della digital transformation in ambito B2B“. Se c’è un segreto dietro l’ascesa che, dal 2014 ad oggi, ha portato Retelit a diventare terzo operatore Ict italiano (dal punto di vista infrastrutturale) e maggior fornitore di accesso alternativo all’ingrosso e connettività B2b in Italia, sta anche in strategie come questa. Ovvero la linea che l’amministratore delegato Federico Protto, intervenendo a Telco per l’Italia, ha indicato come decisiva per affrontare l’attuale contesto del mondo Business to Business, sul quale insistono dinamiche “molto diverse” dall’ambito consumer.
B2B, un mercato “sempre molto ricco”
“E’ vero: i dati attuali di comparto sono deprimenti. Ma non scordiamo che si tratta comunque di dati aggregati – ha affermato Protto -, fatta di contesti di mercato diversi. Noi siamo stati bravi a cogliere dinamiche che ci hanno favoriti nella crescita: partendo da un contesto infrastrutturale, anche con l’acquisizione di Irideos, abbiamo da sempre fatto la scelta di concentrarci sul mondo B2B. E in questo ambito, anche se è vero che la pura connettività in ambito corporate sconta prezzi al ribasso, il mercato resta comunque molto ricco. Senza trascurare che siamo forse arrivati alla fine delle dinamiche progressivamente decrescenti trainate dai grandi Ott”.
Fondi di investimento come motore dello sviluppo industriale
Intanto a fare da motore della crescita industriale, su scala italiana ma anche europea, ci pensano sempre più i fondi di investimento. Per Retelit – acquisita dal fondo spagnolo di private equity Asterion Industrial Pertners e ritirata dalla borsa di Milano nel novembre 2021 – si tratta di una presenza cruciale. “Quello giocato dai fondi è un ruolo ormai centrale a livello nazionale e internazionale, su tutto il mondo Ict e non solo – ha detto Protto -. Il tema tuttavia non è nuovo, tanto che se torniamo ai primi anni Duemila la loro presenza era già diffusa. L’approccio però allora era molto diverso: i fondi entravano, svuotavano le casse, generavano quel che potevano e uscivano. Ora non si parla solo di infrastrutturali, ma anche – come nel nostro caso – di private equity, con orizzonti più bassi e rendimenti più alti, in un contesto in cui i fondi diventano garanti anche di uno sviluppo industriale che guarda al medio e al lungo periodo“. “E se così tanti fondi investono nel comparto – ha concluso -, è evidente che ne riconoscono il valore”.