IL DOCUMENTO

Di Maio: “Nessun piano segreto su scorporo rete Tim”

Il Mise smentisce l’esistenza di un progetto per la newco con Open Fiber dove andrebbero a confluire 30mila dipendenti. E precisa: “Con emendamento al Dl Fiscale si creano le condizioni per rendere sostenibile la realizzazione dell’infrastruttura unica”

Pubblicato il 22 Nov 2018

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Un piano “segreto” per l’integrazione Tim-Open Fiber? Non esiste. Il Mise smentisce le indiscrezioni di stampa secondo cui circolerebbe un documento di governo che dovrebbe fare da “base” per l’integrazione.

“Il Ministero dello Sviluppo Economico non ha ricevuto alcun progetto segreto sullo scorporo della rete Telecom – si legge nella nota – Con l’emendamento al DL fiscale si creano le condizioni per rendere appetibile e sostenibile la realizzazione di una rete unica a banda ultralarga”.

Prima della smentita ufficiale era stato il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, a dire che sullo scorporo della rete” fissa di Tim, “al momento non c’è alcun progetto in corso”. Parlando con i giornalisti alla Camera, Di Maio ha sottolineato che, “il nostro obiettivo è quello di salvaguardare il livello occupazionale”.

Secondo il Messaggero, invece, ci sarebbe un piano che circola sui tavoli nel quale Cdp gioca un ruolo chiave. Il documento, di tre pagine, gira da qualche tempo sui tavoli dei ministri interessati. Lo si potrebbe definire il documento che sta dietro gli emendamenti presentati dal governo – secondo quanto risulta a CorCom verrano votati il prossimo martedì – al decreto fiscale per favorire la nascita della rete unica mettendo insieme l’infrastruttura di Tim con quella di Open Fiber, la società partecipata dall’Enel e dalla Cassa depositi e prestiti.

Nel primo capitolo vengono spiegati i macro obiettivi del governo gialloverde alla base dell’operazione rete unica. Si parla diffusamente di un Paese all’avanguardia tecnologica, tra i leader in Europa, in grado di generare occupazione a prova di futuro, che garantisca la libertà di scelta e informazione dei propri cittadini. Insomma, per questo, si legge nel documento, le infrastrutture a banda larga sono una priorità del governo. Per questo serve, rivela il Messaggero, una regia unica, possibilmente sotto la guida della Cdp, per garantire uno sviluppo industriale del Paese caratterizzato da una efficiente rete di telecomunicazioni.

Nella società della rete, si legge nel documento, dovrebbero finire circa 30 mila dipendenti del gruppo Tim. Un numero rilevante, che dovrebbe essere sostenuto da un fatturato di 5 miliardi l’anno con un margine operativo di almeno 2 miliardi. Nella società della rete finirebbero tutti gli asset, dal rame alla fibra, dai cabinet nelle strade fino ai cavidotti. Sono stimati ricavi per 5 miliardi, ebitda a 2 miliardi, un valore complessivo degli asset per 15 e investimenti nel quinquennio per 5 miliardi.

Per gli analisti di Fidentiis la notizia del piano all’attenzione dei ministeri interessati per lo scorporo della rete di Tim, è “positiva” visto che “i colloqui sull’unica società di rete si stanno intensificando con ulteriori dettagli”.

“Riteniamo che una metodologia basata sul Rab (Regulatory asset base, la metodologia per la determinazione dei ricavi delle aziende dei settori regolati, ndr) sarà la chiave per determinare il pieno valore degli asset e per renderli più attrattivi per i fondi infrastrutturali” si legge nel report che ricorda che, agli attuali valori di mercato Terna è scambiata con un premio di quasi il 16% rispetto al Rab atteso a fine anno e Snam tratta con un premio di quasi il 10%. Tiepido il titolo di Tim, che in Borsa perde oggi lo 0,8%. Per Mediobanca i numeri del piano sono allineati con le stime fatte in passato. “Qualsiasi aggiornamento sulla newco della rete, e collegamenti con Fiber rappresentano un driver per le azioni – spiegano gli analisti, secondo cui nei prossimi la società delle Tlc potrebbe “condividere alcuni dati sul NetCo con la comunità finanziaria”.

I sindacati invece lanciano l’allarme. Lo scorporo della rete Tim potrebbe causare circa 20.000 esuberi, affermano Slc, Fistel e Uilcom che oggi sono in presidio al Mise.  Salvo Ugliarolo, segretario generale della Uilcom, spiega a CorCom che i sindacati sono “pronti a ragionare su un eventuale spin off delle rete” ma a patto che a Tim sia riconosciuto un ruolo da protagonista. “Si tratta – puntualizza il sindacalista – di un’operazione che non si può decidere senza avere la situazione chiara, per emendamento, o con una bozza di tre pagine che circola sulla stampa, ma che noi sindacati non abbiamo ancora visto”.

Se lo scorporo della rete andasse in porto “ci sarebbero oltre 20mila posti di lavoro a rischio – prosegue Ugliarolo – In una ipotetica società della rete potrebbero essere impiegate al massimo 20mila persone, non di più. Resterebbero così almeno altri 20-25 mila lavoratori (Tim in Italia impiega circa 50mila persone ndr), troppo per una società di servizi, quale sarebbe Tim senza la rete. Basti pensare che Vodafone fa lo stesso lavoro con 5 mila persone”. Perciò per Tim, secondo Ugliarolo, “lo scorporo della rete così come circola in questi giorni non regge. Noi diciamo sì alla rete unica, ma con l’ingresso di un azionista come Cdp che darebbe maggiore sicurezza e con Tim che resta protagonista”.

Intanto Vivendi affila le armi per il ribaltone. Secondo fonti vicine al dossier interpellate dall’Adnkronos il gruppo capitanato da Vincent Bolloré resta convinto della necessità di convocare una assemblea in tempi molto stretti, anche se non sembra intenzionato a chiederla direttamente. Sulla convocazione di un’assemblea, Tim ha precisato qualche giorno fa che il Cda non ha ancora assunto una decisione a tale riguardo sottolineando poi “l’inesistenza di alcuna norma che imponga la nomina dei revisori in data anteriore all’assemblea che sarà convocata per l’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2018”. Di certo c’è che il mandato di PriceWaterhouse scadrà con l’approvazione del bilancio 2018 (la nomina del revisore un anno prima è una consuetudine per evitare l’interregno tra chi esce e chi arriva).

Agcom procede nella sua analisi di mercato sull’accesso che include la proposta di separazione legale (che cioè  non arriva allo scorporo proprietario) della rete fissa di Tim. Il provvedimento, lungo centinaia di pagine, dovrebbe approdare nel consiglio del 29 novembre. Nonostante gli emendamenti abbiano un impatto sull’analisi di mercato, l’Autorità deve fare i conti anche con i tempi stretti per la chiusura del provvedimento, al fine di dare una risposta alla Ue e al mercato. Il provvedimento in discussione riguarda infatti l’analisi per gli anni 2018, 2019, 2020 e 2021. Una volta concluso il lavoro dell’Agcom, partirà la consultazione pubblica; sul dossier è previsto anche il parere dell’Antitrust e quello dalla Ue. Qualora la conclusione dell’iter dovesse slittare nella seconda metà del 2019, il provvedimento avrebbe effetto retroattivo per due anni su quattro. Uno scenario che sarebbe inaccettabile per gli operatori e per la Ue. A presentare la proposta di separazione legale della rete (ultimo grado prima dello scorporo proprietario) è stato l’ex amministratore delegato di Telecom, Amos Genish. E’ quindi probabile che il nuovo ad Luigi Gubitosi si confronti quanto prima con l’Agcom sul tema rete.

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