L'OPA DI KKR

Tim, Vivendi al contrattacco: “Non dismettiamo quota”. Ecco come si mette la partita

I francesi ribadiscono la propria posizione come “investitori di lungo termine”. Il 26 novembre nuovo cda straordinario: Gubitosi resta nell’occhio del ciclone. Gli americani alla finestra, l’operazione andrà davvero in porto? Possibile un rilancio sull’offerta? Intanto il titolo scende in Borsa di quasi il 5%

Pubblicato il 23 Nov 2021

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Vivendi è un investitore di lungo termine in Tim e non intende dismettere la propria la quota”: questa la posizione secca ma chiara dichiarata da un portavoce del gruppo francese, primo azionista di Tim con il 23,75%. Già nei giorni scorsi i francesi avevano dichiarato di voler continuare a “collaborare con le autorità e istituzioni italiane per il successo della società”. E ieri per bocca di un fonti vicine all’azienda, l’offerta di Kkr è stata valutata non in linea con “il reale valore di Tim”. Di sicuro non in linea con l’investimento fatto a suo tempo dai francesi che non riuscirebbero a monetizzarlo in caso di uscita di scena ossia di cessione delle proprie quote al fondo americano.

La posizione di Vivendi ha immediatamente impattato sul titolo Tim: dopo un’apertura a +3% (che fa seguito al record del +30% messo a segno ieri) si è arrivati ad una chiusura a -4,72%, segno che il mercato inizia a temere sul buon fine dell’operazione Kkr. I nodi da sciogliere non sono pochi: Kkr potrebbe non essere in grado di raccattare quel 51% considerato una sorta di “minimo sindacale” – l’Opa è sul 100% delle azioni ordinarie e di risparmio – e trovarsi dunque la spina nel fianco dei francesi. Ancora da capire poi il ruolo di Cassa depositi e prestiti, attualmente alla soglia del 10%. Per non parlare della scure del Golden Power che potrebbe abbattersi sull’operazione e del cancan politico – le forze di maggioranza non sono compatte. E non è compatto neanche il cda dell’azienda. Sull’Ad Luigi Gubitosi pesa lo scontento di 11 Consiglieri che hanno richiesto il cda straordinario in programma venerdì 26 novembre in cui sono all’ordine del giorno la strategia di riorganizzazione, la governance e il deterioramento dei conti in vista della messa a punto del nuovo Piano strategico 2022-2024 la cui presentazione è prevista per il prossimo febbraio.

La questione più importante sul piatto resta quella del dossier rete unica e delle intenzioni degli americani sulla “configurazione” dell’azienda. Lo scorporo della rete per dare vita ad una newco in cui far confluire gli asset di Fibercop (la wholesale company in cui Kkr vanta il 37,5%) con la “nuova” Open Fiber a guida Cdp (60%) -Macquaire (40%) resta l’ipotesi più accreditata anche per una successiva quotazione “modello Terna” che consentirebbe di valorizzare e “monetizzare” l’investimento. Ma separare Tim in due aziende – una delle reti e una dei servizi – significa fare inevitabilmente i conti con la tenuta occupazionale: dei 42mila dipendenti circa 10mila potrebbero essere migrati nella società della rete ed avere dunque un futuro garantito, per gli altri la tenuta è tutta da vedere. Qual è la sostenibilità economico-finanziaria della service company? Di certo 30mila dipendenti non potrebbero restare in sella. Da qui l’allarme lanciato dai sindacati e da alcune forze politiche – hanno cavalcato subito l’onda Matteo Salvini e Giorgia Meloni, il primo contro l’ipotesi di “spezzatino” e la seconda contro “lo straniero” (come se Tim non fosse già sotto il controllo di un’azienda d’Oltreconfine, ma questa è un’altra storia).

Cosa potrà fare Kkr? Rilancerà sull’offerta per tentare di convincere Vivendi a uscire di scena? Dichiarerà più apertamente le proprie intenzioni in merito alla questione del futuro dell’azienda? È presto per tirare le fila: la due diligence durerà quattro settimane e il Governo attraverso il comitato di ministri ed esperti messo in piedi per lo studio del dossier non è detto che si esprima in tempi brevissimi (una prima riunione è prevista in settimana). Intanto nel corso del cda di Tim di venerdì si capirà che aria tira in merito al futuro dell’attuale management.

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