L'EDITORIALE

Tlc, il paradosso italiano: tariffe stracciate ma accuse di cartello?

I prezzi al consumatore finale sono fra i più bassi d’Europa, eppure fioccano le sanzioni e le penali, ultima quella da 230 milioni dell’Antitrust. Per non parlare del salasso delle licenze 5G nonostante investimenti milionari per fare le reti. Qualcosa proprio non quadra

Pubblicato il 02 Feb 2020

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Dunque le compagnie di Tlc italiane hanno fatto cartello. Dunque in Italia si è ostacolata la concorrenza. Dunque servono multe esemplari affinché non si ripeta più. Questo in sostanza il riassunto dell’ultima puntata della “saga” delle bollette a 28 giorni.

L’Antitrust ha optato per la linea dura: 230 milioni di multa, senza se e senza ma. E a leggere fra le righe del provvedimento poteva andare anche peggio: si sarebbe tenuto conto degli investimenti a carico degli operatori per lo sviluppo dei servizi e delle reti fisse e mobili. Ma davvero se n’è tenuto conto? E, soprattutto, davvero l’Italia è un Paese in cui non c’è concorrenza nel settore delle Tlc? Se c’è una liberalizzazione che ha funzionato nel nostro Paese è proprio quella del settore delle telecomunicazioni: la prova provata sta nel livello dei prezzi al consumatore, fra i più bassi d’Europa. E un’ulteriore sforbiciata c’è stata a seguito della discesa in campo del quarto operatore mobile Iliad che ha rimesso in moto una guerra dei prezzi come non si vedeva da tempo. Condotte anticoncorrenziali, dunque, è davvero difficile intravederne. E al di là del caso specifico, quello dei 28 giorni – peraltro legato a una modalità di fatturazione che poco c’entra con la concorrenza – è il macro-contesto che andrebbe analizzato e valutato.

Veniamo ai numeri. Li ha ricordati Andrea Rangone, ceo di Digital360, in un post su Linkedin pubblicato a seguito del provvedimento Antitrust: “Il settore ha già contratto i sui ricavi di quasi il 30% negli ultimi 10 anni, con una riduzione di prezzi del 25%, la peggiore in Europa, fatta eccezione per la Francia”. E si tratta dell’unico settore di servizi “utility” in Italia – ha evidenziato Rangone – “che ha ridotto pesantemente i suoi prezzi nell’ultimo decennio, quando tutti gli altri (acqua, gas, luce, trasporti, ecc.) li hanno aumentati”. Un settore che ha visto crollare il cash flow generato negli ultimi anni. E che sconta e sconterà cari gli esborsi a 9 zeri per le licenze 5G.

Così non può andare avanti, è evidente. Le telco non sono più in grado di garantire la propria sostenibilità con regole e balzelli da prima economia. Non ci si stupisca dunque, se si annuncino piani di riorganizzazione e tagli dei costi. Non si stupiscano i consumatori – in primis le associazioni che li rappresentano – se la qualità dei servizi lascerà sempre più a desiderare: la battaglia sui prezzi non fa gioco proprio a nessuno e agli utenti men che meno. E non ci si stupisca se il nostro Paese continuerà a restare in fondo alle classifiche del digitale. Nessuna trasformazione digitale si può e si potrà fare senza infrastrutture adeguate, senza dunque agevolare il cammino delle telco. Eppure pare si stia facendo di tutto per ostacolarlo. Nessun edificio si può costruire senza fondamenta, a meno che non si voglia assistere al suo inevitabile crollo. Vero è che qui non sono le Autorità a fare la differenza, per quanto possano dare un prezioso contributo. La partita si gioca a livello di politica economico-industriale governativa. Ma tutto tace.

Il grafico è stato pubblicato sul Focus Tlc 2019 del Centro Studi di Mediobanca

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