GUERRA COMMERCIALE

Zte, già a quota 3 miliardi di dollari il prezzo della guerra Usa-Cina

La stima riportata da Bloomberg mentre Trump prova a rinegoziare il divieto di acquisto di componenti americane per il vendor cinese. Il Congresso è contro e prepara una legge a prova di veto

Pubblicato il 23 Mag 2018

Patrizia Licata

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Tre miliardi di dollari: questa la stima dei danni per il vendor cinese Zte a causa del divieto inflitto dal dipartimento del Commercio americano di acquistare componenti tecnologiche da fornitori statunitensi. La cifra, considerata “prudente”, viene riportata da Bloomberg, che cita fonti anonime vicine al business dell’azienda cinese delle attrezzature di telecomunicazione. Il calcolo si basa sullo stop delle attività negli Stati Uniti, la perdita di clienti esistenti e potenziali e l’accumulo delle spese, pari a circa 15 milioni di dollari al giorno per “molti dei 75.000 dipendenti” che in questo momento non possono lavorare.

L’agenzia di stampa conferma tuttavia che esiste la possibilità di un accordo tra Stati Uniti e Cina che permetterà di annullare il bando emesso lo scorso mese. Zte, scrive Bloomberg, è “fiduciosa nel raggiungimento di un’intesa” e ha pronto un piano, chiamato T0, per “rimettere in azione nel giro di qualche ora le fabbriche attualmente in stand-by”, se arriverà il passo indietro di Washington.

Ieri il Wall Street Journal indicava la possibilità di un “ampio schema di accordo” nella guerra commerciale tra gli Usa e la Cina che ha travolto Zte. I dettagli “non sono stati ancora risolti”, ma, in caso di via libera, Washington rimuoverà l’attuale divieto a Zte di comprare per sette anni software e componenti americani, tra cui i chip di Qualcomm e Intel, una sanzione che impedisce l’approvvigionamento di elementi essenziali al business nelle telecomunicazioni dell’azienda cinese e ne mette a repentaglio la stessa sopravvivenza.

Zte non ne uscirà comunque indenne: anche se il divieto di approvvigionamento sarà eliminato, è probabile, secondo i media Usa, che l’azienda debba far saltare buona parte del suo top management e, forse, pagare una multa di 1,2 miliardi di dollari.

C’è un’ulteriore cattiva notizia per Zte: l’eventuale abolizione o allentamento del divieto dovrà superare l’esame sulla sicurezza nazionale degli Usa, perché per molti parlamentari del Congresso Usa Zte e le tecnologie cinesi pongono un rischio di cyber-spionaggio. Il senatore Repubblicano Marco Rubio pensa che  Donald Trump abbia ceduto alla Cina a danno degli interessi americani e ha raccolto supporto bipartisan: il Congresso sarebbe pronto a legiferare a favore del bando in una formula che sia veto-proof, ovvero il presidente non potrà opporsi. Inoltre John Cornyn del Banking Committee insieme ad altri 27 senatori ha chiesto ai segretari del Commercio e del Tesoro di respingere ogni proposta di Trump di fare un passo indietro.

Proprio il segretario al Tesoro Steven Mnuchin è intervenuto sulla vicenda dichiarando alla Cnbc che l’intento del bando non è mettere ko l’azienda Zte e nemmeno usarla come merce di scambio per ottenere dalla Cina una revisione delle politiche commerciali sui prodotti agricoli statunitensi importati. “Non è una questione di do ut des”, ha detto Mnuchin e ha garantito che i dazi su alluminio e acciaio cinesi non sono in discussione.

Per la stampa Usa è tuttavia chiaro che l’affaire Zte è un elemento di una complessa guerra commerciale e la riprova è il viaggio a Pechino che il segretario al Commercio Wilbur Ross, che sovrintende al caso Zte, ha programmato per “inizio giugno”, secondo Bloomberg.

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