Il mercato digitale italiano nel 2024 è cresciuto del 3,7%, attestandosi a 81,6 miliardi di euro: un incremento superiore rispetto a quello del Pil nazionale (+0,7%), trainato da AI, cybersecurity e cloud.
È quanto rivela la pubblicazione annuale di Anitec-Assinform sull’andamento del digitale in Italia, condotta in collaborazione con NetConsulting cube e presentata a Roma.
“Il settore dell’Information and Communication Technology continua a vivere una crescita sostenuta, che supera quella dell’economia generale, giocando un ruolo chiave nel sostenere l’avanzamento dell’economia e dell’occupazione del Paese. È un settore che crea valore, apre nuove finestre sull’innovazione ed è reattivo rispetto alle sfide di una ‘frontiera’ che ogni anno fissa nuove mete. Il 2025 è l’anno in cui l’intelligenza artificiale ha smesso di essere soltanto un’ambizione tecnologica e ha iniziato a ridefinire concretamente il nostro presente”, ha affermato Massimo Dal Checco, Presidente di Anitec-Assinform, l’Associazione di Confindustria che raggruppa le principali aziende dell’Ict.
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Report Anitec-Assinform sul digitale: “È iniziata l’era dell’AI“
Il rapporto 2025 su “Il digitale in Italia” evidenza che, nella crescita del digitale in Italia, la variazione più rilevante ha riguardato i servizi Ict (+7,4% e 17,3 miliardi di euro), che hanno beneficiato principalmente dello sviluppo di soluzioni di Ai, di servizi di cybersecurity e di quelli relativi al cloud computing.
Il comparto più dinamico è quello dei “Digital enabler e transformer”, con un andamento medio annuo previsto tra il 2024 e il 2028 del +10,2%, decisamente più elevato rispetto al trend del segmento Ict che si attesta sul 2,8%.
Crescono a una velocità superiore alla media del comparto dei Digital enabler e transformer, in ordine decrescente di volume, il cloud computing, la cybersecurity, le soluzioni di big data management, di intelligenza artificiale e cognitive computing; in rallentamento è invece la crescita delle piattaforme di blockchain.
I numeri del mercato digitale in Italia
“Questo decennio sta registrando un trend positivo per il settore dell’Ict. Dopo un’accelerazione nel 2024, anche nel 2025 il ritmo di crescita rimarrà sopra il 3%. Per il momento non abbiamo motivo di ritenere che gli aspetti di incertezza del contesto in cui viviamo avranno impatti decisi sulle tecnologie high-tech e sulle supply chain”, ha proseguito Dal Checco. “Gli investimenti in tecnologie Ict in Italia rimangono robusti grazie anche all’avanzamento del Pnrr, all’introduzione di Transizione 5.0 e al rilancio dei crediti d’imposta. L’adozione delle soluzioni più innovative, come Ai, cloud, big data, IoT e cybersicurezza, proseguirà con effetti positivi attesi anche oltre il 2026”.
Prestazioni particolarmente positive hanno caratterizzato pure i segmenti del software e soluzioni Ict (+3,9% e 9,4 miliardi di euro) e dei contenuti e pubblicità digitali (+5,6% e 16,1 miliardi di euro).
Inoltre, torna a numeri positivi il mercato dei dispositivi e sistemi (+1,6% e 20,3 miliardi di euro) e migliora ulteriormente il mercato dei servizi di rete di telecomunicazioni (+1,2% e 18,5 miliardi di euro).
AI nuovo motore della competizione globale
Ma è l’Ai a ridefinire il panorama del digitale, secondo lo studio. “Se il Novecento ha visto l’arrivo dell’elettricità, dell’automobile, del telefono, oggi siamo testimoni – e protagonisti – di un cambiamento di pari intensità, se non maggiore. Siamo infatti entrati nell’era dell’intelligenza artificiale”, ha affermato Dal Checco. “Nel mondo, gli investimenti volano: gli Stati Uniti guidano questa corsa, ma nessuno può restare fermo. Perché l’Ai è il nuovo motore della competizione globale, della produttività, della sostenibilità e – se saremo capaci – dell’equità. Oggi non possiamo più guardare all’Ai solo come uno strumento. È diventata una sfida multidimensionale: economica, sociale, politica. Ed è nostro compito non solo adottarla, ma governarla, comprenderla, renderla accessibile a tutti”.
Questa edizione del rapporto contiene anche una monografia completa e aggiornata sullo stato di adozione dell’intelligenza artificiale nella Pubblica amministrazione italiana, in cui l’argomento viene affrontato da una prospettiva integrata che tiene conto di aspetti normativi, tecnologici, organizzativi ed economici.
La spesa della PA per soluzioni Ai ha registrato un’accelerazione importante: da 32,5 milioni nel 2023 a 47,3 milioni nel 2024 (+45,5%). Il 75% degli investimenti è concentrato nella PA centrale, mentre la PA locale, pur mostrando interesse, evidenzia limiti legati a risorse e competenze.
Sull’AI servirebbero più risorse e una riflessione politica
“La scala e la molteplicità dell’impatto dell’Ai – ha concluso Dal Checco commentando il rapporto sul digitale – ci chiama non solo a progettare soluzioni, ma a ripensare il nostro modo di crescere, lavorare, formare, decidere. Le istituzioni devono creare le condizioni per un’adozione rapida e responsabile. Le imprese devono investire in formazione e sperimentazione. E tutti noi dobbiamo contribuire a costruire fiducia, conoscenza, dialogo. Le ambizioni sono alte. Ma se guardiamo alle risorse allocate, facendo la somma di budget diversi, non essendoci un budget ufficiale di investimento pubblico sull’Ai, non possiamo non accorgerci di una contraddizione che riguarda tutti noi: l’ambizione dell’Italia nel campo dell’intelligenza artificiale, e la sproporzione delle risorse messe in campo per realizzarla. Per quanto riguarda invece le politiche per l’intelligenza artificiale, la domanda d’obbligo che dobbiamo porci è: stiamo davvero attivando le leve giuste per rendere l’Ai un motore di innovazione diffusa”.
Nei giorni scorsi in Italia è stato approvato anche dalla Camera il Ddl AI italiano, con ulteriori modifiche rispetto a quelle già approvate al Senato. Ora il testo deve tornare a Palazzo Madama. Secondo il commento di Alessio De Luca, Responsabile Ufficio progetto lavoro 4.0 della Cgil: “Il DdL era un testo debole, tardivo rispetto l’attuazione del Regolamento UE, con un eccesso di delega nei confronti del Governo, una identificazione delle autorità indipendenti non coerente con il testo del Regolamento Europeo (prive dell’autonomia e capacità di regolazione reale), non chiaro sui compiti dell’Osservatorio sul mondo del lavoro, con queste ultime modifiche diventa un manifesto politico ed una operazione di indebolimento del contesto europeo, un cavallo di troia nella regolazione di una tecnologia di grande potere e che rischia di determinare squilibri economici, maggiori diseguaglianze e una pericolosa concentrazione di potere nelle mani di soggetti privati multinazionali”.