LA CRISI

Guerra Ucraina, allarme dei chipmaker: a rischio l’acquisto di materie prime

I produttori di componenti hanno scorte in magazzino e fonti diversificate, ma temono gli impatti di lungo periodo dalle sanzioni. E l’avvio delle operazioni militari fa crollare Bitcoin e criptovalute

Pubblicato il 24 Feb 2022

chip

Le operazioni militari della Russia in Ucraina sono il nuovo banco di prova per la logistica dei chip, già sotto pressione dopo le chiusure delle fabbriche legate al Covid e il boom della domanda cui la produzione stenta a tenere testa. Nel breve termine, i grandi produttori – secondo quanto riferisce Reuters – non temono impatti perché hanno già diversificato le fonti di approvvigionamento delle componenti e ampliato le scorte in magazzino in risposta alla crisi dei chip apertasi da due anni. Tuttavia, nel lungo periodo, alcuni temono ripercussioni legate all’acquisto di alcune materie prime chiave.

I rischi delle sanzioni

L’Ucraina, per esempio, rifornisce oltre il 90% del neon usato per produrre semiconduttori negli Usa, mentre il 35% del palladio usato dalle fabbriche Usa anche per prodotti come chip di memoria e sensori, arriva dalla Russia. La disponibilità di questi materiali non è elevata e una nuova pressione sulla supply chain porterà su i prezzi, prima delle materie prime e poi dei chip.

Le sanzioni americane contro la Russia con le conseguenti probabili ritorsioni di Mosca potrebbero strozzare ulteriormente la supply chain.

Come si attrezzano i chipmaker

Asml, azienda olandese che rifornisce chipmaker come Tsmc, Samsung e Intel, ha affermato che sta già cercando fonti di neon alternative.

La sudcoreana Sk Hynix ha indicato di aver la situazione sotto controllo perché ha diversificato i fornitori riducendo il peso di Russia e Ucraina fin dall’invasione e annessione russa della Crimea nel 2014, che già ha fatto aumentare i prezzi del neon.

Anche Intel e GlobalFoundries hanno rassicurato sulla loro tenuta, perché hanno accumulato scorte di materiali e componenti. Per i produttori di Taiwan ha parlato il ministro degli affari economici, chiarendo che la Russia non è un fornitore chiave di materiali per l’industria nazionale dei semiconduttori.

Il chipmaker malese Unisem, che ha tra i suoi clienti anche Apple, ha detto di non aspettarsi impatti sulla produzione di chip dovuti a carenze di materie prime perché non compra dalla Russia. Anche i macchinari per le fabbriche di Unisem sono slegati alla crisi ucraina: arrivano da Usa, Giappone, Corea Singapore e dalla Malesia stessa.

Anzi, proprio la Malesia sta emergendo come una delle catene di collegamento vitali nella catena produttiva dei chip: il Paese rappresenta il 13% delle attività globali di assembly testing e packaging.

Anche il Giappone ha un ruolo importante, ma la società Ibiden, che produce sostrati di packaging per i chip, ha detto di sentirsi preoccupata per un’eventuale protrarsi della crisi e sanzioni che rendano impossibile rifornirsi di neon e altri gas dalla Russia.

Giù Bitcoin e Ethereum

L’impatto dell’avvio della guerra in Ucraina è invece già tangibile sulle criptovalute: il Bitcoin ha perso oggi fino al 9% del valore alla notizia delle operazioni militari russe, mentre Ethereum è crollato anche del 13%. Tutte le altre criptovalute sono state impattate a catena, per poi risalire, ma le quotazioni odierne restano nettamente al ribasso.

Le svendite sul mercato delle criptovalute seguono a loro volta le perdite sulle Borse azionarie, mentre le quotazioni dei beni rifugio come l’oro, del petrolio greggio e del dollaro continuano a salire.

Le perdite del Bitcoin portano la valuta digitale al livello più basso dalla fine di gennaio e alla metà circa del valore raggiunto a novembre, quando era scambiata a 69.000 dollari.

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