Le operazioni militari della Russia in Ucraina sono il nuovo banco di prova per la logistica dei chip, già sotto pressione dopo le chiusure delle fabbriche legate al Covid e il boom della domanda cui la produzione stenta a tenere testa. Nel breve termine, i grandi produttori – secondo quanto riferisce Reuters – non temono impatti perché hanno già diversificato le fonti di approvvigionamento delle componenti e ampliato le scorte in magazzino in risposta alla crisi dei chip apertasi da due anni. Tuttavia, nel lungo periodo, alcuni temono ripercussioni legate all’acquisto di alcune materie prime chiave.
I rischi delle sanzioni
L’Ucraina, per esempio, rifornisce oltre il 90% del neon usato per produrre semiconduttori negli Usa, mentre il 35% del palladio usato dalle fabbriche Usa anche per prodotti come chip di memoria e sensori, arriva dalla Russia. La disponibilità di questi materiali non è elevata e una nuova pressione sulla supply chain porterà su i prezzi, prima delle materie prime e poi dei chip.
Le sanzioni americane contro la Russia con le conseguenti probabili ritorsioni di Mosca potrebbero strozzare ulteriormente la supply chain.
Come si attrezzano i chipmaker
Asml, azienda olandese che rifornisce chipmaker come Tsmc, Samsung e Intel, ha affermato che sta già cercando fonti di neon alternative.
La sudcoreana Sk Hynix ha indicato di aver la situazione sotto controllo perché ha diversificato i fornitori riducendo il peso di Russia e Ucraina fin dall’invasione e annessione russa della Crimea nel 2014, che già ha fatto aumentare i prezzi del neon.
Anche Intel e GlobalFoundries hanno rassicurato sulla loro tenuta, perché hanno accumulato scorte di materiali e componenti. Per i produttori di Taiwan ha parlato il ministro degli affari economici, chiarendo che la Russia non è un fornitore chiave di materiali per l’industria nazionale dei semiconduttori.
Il chipmaker malese Unisem, che ha tra i suoi clienti anche Apple, ha detto di non aspettarsi impatti sulla produzione di chip dovuti a carenze di materie prime perché non compra dalla Russia. Anche i macchinari per le fabbriche di Unisem sono slegati alla crisi ucraina: arrivano da Usa, Giappone, Corea Singapore e dalla Malesia stessa.
Anzi, proprio la Malesia sta emergendo come una delle catene di collegamento vitali nella catena produttiva dei chip: il Paese rappresenta il 13% delle attività globali di assembly testing e packaging.
Anche il Giappone ha un ruolo importante, ma la società Ibiden, che produce sostrati di packaging per i chip, ha detto di sentirsi preoccupata per un’eventuale protrarsi della crisi e sanzioni che rendano impossibile rifornirsi di neon e altri gas dalla Russia.
Giù Bitcoin e Ethereum
L’impatto dell’avvio della guerra in Ucraina è invece già tangibile sulle criptovalute: il Bitcoin ha perso oggi fino al 9% del valore alla notizia delle operazioni militari russe, mentre Ethereum è crollato anche del 13%. Tutte le altre criptovalute sono state impattate a catena, per poi risalire, ma le quotazioni odierne restano nettamente al ribasso.
Le svendite sul mercato delle criptovalute seguono a loro volta le perdite sulle Borse azionarie, mentre le quotazioni dei beni rifugio come l’oro, del petrolio greggio e del dollaro continuano a salire.
Le perdite del Bitcoin portano la valuta digitale al livello più basso dalla fine di gennaio e alla metà circa del valore raggiunto a novembre, quando era scambiata a 69.000 dollari.
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