IL PROCESSO

Lady Huawei: il giudice prende tempo

Si chiude la prima fase del dibattimento in aula del caso che vede coinvolta la Cfo Meng Wanzhou, accusata da Washington di violazione delle sanzioni all’Iran. Gli Usa vogliono l’estradizione. Ma la sentenza non arrivera prima di fine aprile

Pubblicato il 24 Gen 2020

Patrizia Licata

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Si è chiusa la prima fase del processo per l’estradizione dal Canada agli Stati Uniti di Meng Wanzhou, la Chief financial officer di Huawei. La Cfo dell’azienda cinese, figlia del fondatore Ren Zhengfei, è stata arrestata a Vancouver nel dicembre del 2018 per un mandato arrivato da Washington; l’accusa è di frode finanziaria e violazione delle sanzioni americane contro l’Iran.

La prima fase del dibattimento in aula si è chiusa dopo quattro giorni ma il giudice ha indicato che prenderà tempo prima di comunicare la sua decisione; probabilmente una sentenza arriverà entro il 27 aprile, prima della data fissata per gli avvocati della difesa per presentare delle prove connesse con l’arresto di Meng e che, sostiene la difesa, è stato macchiato da una serie di irregolarità.

Un caso “politico”

I legali di Meng puntano sulla tesi della “double criminality”: la difesa vuole dimostrare che il reato per il quale Meng è accusata negli Stati Uniti deve essere reato anche in Canada per poter procedere. E siccome Meng è accusata di aver violato le sanzioni Usa all’Iran, non c’è doppia punibilità perché il Canada non ha sanzioni sui servizi finanziari in Iran e quindi, sostiene la sua difesa, non può essere estradata per presunta frode bancaria e finanziaria. Gli avvocati di Meng hanno riconosciuto che il Canada aveva sanzioni contro l’Iran tra il 2011 e il 2016 ma non nel 2018, quando la Cfo cinese è stata arrestata.

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I legali di Meng hanno sottolineato che al momento il Canada non impone alcuna sanzione contro l’Iran “come tutto il resto del mondo civile”. Di conseguenza il caso è in realtà politico perché ruota intorno alla possibilità che il Canada “importi” la legge americana sulle sanzioni e la applichi a una richiesta di estradizione.

Per l’accusa, invece, Meng deve essere estradata per il reato di frode: contrariamente a quanto sostiene la difesa, il caso non riguarda solo la violazione delle sanzioni Usa contro l’Iran, ma le accuse di frode finanziaria. I legali che sostengono le tesi di Washington hanno aggiunto che il compito del giudice è “assicurare che il Canada non diventi il rifugio sicuro di chi si macchia di frode”.

I difensori di Meng hanno replicato dicendo al giudice che la richiesta degli Usa di estradare Meng “è tutta incentrata sul rischio delle sanzioni”; se il Canada darà ragione all’accusa e consegnerà Meng agli Stati Uniti questo sarà un motivo di imbarazzo per il sistema giudiziario canadese.

Se il giudice accoglierà la tesi della “double criminality”, ovvero che il reato contestato negli Usa non è reato in Canada, Meng sarà libera. L’accusa potrà ovviamente ricorrere in appello. Se i ricorsi si moltiplicheranno, potrebbero volerci anche degli anni prima di arrivare a una conclusione del processo.

La tesi delle irregolarità nell’arresto

Meng resta al momento a Vancouver in libertà dietro cauzione. I suoi legali presenteranno nuove prove al giudice a fine aprile nel tentativo di dimostrare irregolarità durante l’arresto, in preparazione della seconda fase del processo, che inizierà a giugno, e in cui si discuterà proprio della correttezza della procedura con cui la Cfo di Huawei è stata fermata all’ingresso in Canada.

I  legali della Cfo di Huawei parlano infatti di abusi da parte della Canada border services agency (Cbsa): gli ufficiali dell’agenzia per i controlli doganali e di frontiera avrebbero preso le password dei dispositivi elettronici di Meng e le avrebbero consegnate alla polizia, un’irregolarità che gli avvocati del governo canadese hanno definito “un errore” ma che potrebbe incidere sul processo.

Il dibattimento finale è atteso entro la prima settimana di ottobre.

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