LO STUDIO

Allarme privacy: il 71% degli italiani non si sente sicuro sui social

La ricerca “Retail Transformation 2.0”, realizzata da Digital Transformation Institute e Cfmt, registra una crescente confidenza con le piattaforme mediali, ma anche una più alta preoccupazione rispetto al 2018 sulla protezione dei dati personali

Pubblicato il 03 Gen 2020

social

La maggior parte degli italiani non si sente tranquilla sul fronte della privacy quando utilizza i social network. A dirlo è la ricerca “Retail Transformation 2.0”, realizzata da Digital Transformation Institute e Cfmt, che ha indagato anche quest’anno il rapporto delle persone con le tecnologie nel settore retail e non solo. Il 71% del campione coinvolto (un 3% in più rispetto allo scorso anno) afferma “finché useremo i social network i nostri dati personali non saranno al sicuro”. Questo a fronte di una quasi totalità di intervistati (il 95%) che mostra familiarità con questa tecnologia digitale, che risulta essere, esattamente come nel 2018, tra le più conosciute in assoluto insieme a Intelligenza Artificiale (l’82% sa di cosa si tratta, con un +2% rispetto allo scorso anno), Realtà Aumentata e Realtà Virtuale (75%).

La conoscenza percepita dei social network

La ricerca fa registrare una familiarità e conoscenza percepita del significato di social network più da parte di uomini che donne (96% contro 93%), di over 55 piuttosto che di 35-54enni (96% contro 93%) e di persone con grado elevato di istruzione, consapevoli per il 99% delle opportunità dei social a fronte di un 91% delle persone meno istruite.

Nel momento in cui si è chiesto agli intervistati di spiegare il significato di social network, la parola che si è associata di più per farlo è stata Facebook, quasi a voler considerare la piattaforma un sinonimo di social. Gettonate anche le parole piattaforma, interazione, comunicazione, condivisione e scambio.

“Incrociando i dati di questa ricerca con quelli di altre ricerche che abbiamo realizzato o con fonti dati pubbliche che rappresentano il livello di consapevolezza delle persone sull’uso di questi strumenti (ad esempio il Desi)”, afferma Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute, “emerge un quadro particolarmente interessante rispetto alla grande discrasia tra quello che le persone ‘pensano’ di sapere e quello che sanno davvero. In altri termini il problema da evidenziare consiste nel fatto che si confonde la capacità di utilizzare degli strumenti con la cultura d’uso degli stessi. Le persone sono portate a credere di ‘conoscere’ un social network per il semplice fatto di avere un account su di esso. Ma se si va ad analizzare il dato con maggior dettaglio, ci si rende conto di come poi quelle stesse persone facciano fatica a comprendere come si verifica una fonte, siano facili vittime di fake news, vivano ancora nella ingenua illusione che ‘l’ho letto su internet’ rappresenti una garanzia di veridicità. È questa percezione distorta di consapevolezza – che potremmo definire una conoscenza ingenua – a rappresentare un potenziale problema, perché fa abbassare le difese dell’utente di fronte alla convinzione di sapere qualcosa, quando in realtà il suo livello di consapevolezza è ancora basso. Per questo”, chiosa Epifani, “servono oggi più che mai iniziative promosse da società civile, istituzioni, sistema della formazione che siano volte a promuovere una reale media literacy rispetto a questi strumenti”.

Quali sono le opportunità offerte dai social network?

L’utilità dei social network, misurata dagli utenti rispetto alle vendite on line dei prodotti, viene individuata nella possibilità di acquisire informazioni su un prodotto o servizio in modo molto più semplice che in passato (86% degli intervistati), nel farsi una idea rispetto alla affidabilità di un venditore (74%), farsi una idea precisa di ciò che si vuole acquistare (70%) e valutare la qualità dell’offerta e dei servizi a essa connessi (70%). In crescita rispetto alla edizione 2018 della ricerca, la percezione di attenzione nei confronti dei clienti in caso di gestione accurata dei profili social da parte dei venditori (+6%).

“Emerge in generale”, commenta Giovanni Bocca Artieri, socio fondatore del Digtial Transformation Institute e Professore di Scienze della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, “una visione più disincantata dei social network come strumenti che probabilmente abbiamo sovrastimato nelle nostre attese rispetto alla funzione di socializzazione diffusa e che oggi costituiscono piuttosto mezzi utili per orientarci dal punto di vista delle informazioni nel mercato ma con la consapevolezza che occorre tenere alta l’attenzione rispetto a recensioni e consigli che possono essere orientati dalle aziende. Una visione critica che si è andata consolidando dopo lo scandalo Cambridge Analytica e la discussione emersa nei media nella direzione di una preoccupazione crescente per la privacy che, secondo gli intervistati, viene messa a rischio quotidianamente dall’uso dei Social Network. In pratica, a livello delle nostre interpretazioni sociali, i social network costituiscono un ambiente simbolico in cui la tecnologia ha contorni orwelliani mentre quando ci concentriamo sulle analisi dell’uso gli utenti mostrano una confidenza consapevole che, tutto sommato, gli permette di orientarsi verso un uso critico”.

Tra i limiti dei social network individuati dagli intervistati quella alla difficoltà di “farsi una idea precisa di un venditore o di un prodotto, perché di fianco alle recensioni di utenti reali trovano moltissime recensioni false” (76%), una sorta di “fastidio” negli eccessi di attività dei venditori sui social (72%) e una sorta di disorientamento per un eccesso di informazioni presenti (67%).

Riconfermato, rispetto allo scorso anno, l’apprezzamento per l’integrazione dei canali di vendita on line e off line, in grado di produrre vantaggi per il cliente (74%) e la sensazione dei consumatori di ottimizzazione delle vendite per chi usa diversi canali di vendita (64%).

“Anche su questo tema”, conclude Epifani, “è importante dare una lettura che sia focalizzata sugli obiettivi di sostenibilità, ed è necessario aggiungere alla sostenibilità ambientale, a quella sociale ed a quella economica il concetto di sostenibilità culturale. Guardando ad Agenda 2030 è difficile immaginare il perseguimento dell’Sdg 4, legato allo sviluppo di ambienti di apprendimento equi e inclusivi, senza rileggere il ruolo dei social media in questa dimensione. Così come pure è impensabile attuare gli obiettivi dell’Sdg 8, che guarda a una società che promuova una crescita economica duratura, senza che vi sia competenza diffusa su come costruirla in un contesto ove i social media hanno un peso sempre più importante. Per non parlare dell’Sdg 11, che ci fa immaginare le città del futuro, rispetto al quale il ruolo dei social network site come strumenti a supporto della governance è sempre più importante”.

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