Sulla lotta all’hate speech e ai contenuti illeciti Facebook non riesce a tenere il passo anche a causa delle sue dimensioni mondiali e della varietà di lingue e dialetti in cui i suoi 2,3 miliardi di utenti mensili comunicano. Alla luce dei drammatici attentati in Sri lanka il giorno di Pasqua, il problema di vigilare sulla pubblicazione e diffusione di post violenti diventa ancora più urgente.
Le lingue ufficialmente supportate su Facebook sono 111 ma, scrive oggi Reuters, l’informativa che spiega le regole di comportamento sul social network, incluso il divieto di postare materiale offensivo, istigazione alla violenza e hate speech, è stato tradotto da Menlo Park solo in 41 di queste lingue.
Facebook sta cercando di fare degli sforzi. Ha portato a 15.000 addetti il team che si occupa di monitorare i contenuti pubblicati sulla piattaforma; questo team copre circa 50 lingue e Facebook può assumere ulteriori specialisti e traduttori a seconda delle necessità. Gli strumenti automatizzati usati per l’identificazione dell’hate speech funzionano solo con 30 lingue.
L’impresa di tradurre nelle tante lingue globali è titanica, ha ammesso Monika Bickert, la vice president di Facebook che si occupa delle regole d’uso e del loro costante aggiornamento. Ma alcuni paesi non sono disposti ad aspettare che il colosso di Menlo Park si attrezzi: Australia, Singapore e il Regno Unito hanno minacciato nuove regole, che includono pesanti sanzioni e addirittura carcere per i top manager, se il social network non riesce a individuare e rimuovere rapidamente i post violenti. Anche l’Unione europea ha più volte richiamato Facebook su hate speech e contenuti legati alla propaganda terroristica.
Una portavoce di Facebook ha indicato a Reuters che le regole d’uso sono tradotte caso per caso in base a quanti sono gli utenti di una certa lingua; per esempio ora una delle priorità oggi è la lingua Khmer, usata in Cambogia, e la Sinhala, la più diffusa in Sri Lanka, dove il governo ha bloccato Facebook dopo gli attentati di domenica.
La stessa agenzia Reuters l’anno scorso aveva evidenziato la diffusione di hate speech su Facebook che aveva sostenuto le violenze tra etnie in Myanmar e che al social era sfuggito in parte per la barriera linguistica. Ora l’azienda ha corretto il tiro, tradotto le regole d’uso in burmese e assunto oltre 100 persone che parlano la lingua locale. Ma ancora una volta Facebook arriva in ritardo, hanno denunciato dagli attivisti di Human Rights Watch Asia, che chiedono regole più severe e chiare per tutti i paesi, ma anche maggiore efficacia nel controllarne l’attuazione. “Investiamo più di ogni altra azienda tecnologica per lo sforzo multilingue”, replica Facebook.
Sono numerosi i fronti aperti per Facebook, nel mirino, oltre che per alcuni dei contenuti postati sulla piattaforma, per gli scandali legati alla gestione dei dati personali: ancora nei giorni scorsi la società di Menlo Park ha ammesso che potrebbe aver “involontariamente caricato” gli indirizzi email di 1,5 milioni di nuovi utenti a partire da maggio 2016. Arriva tempestiva, dunque, la nomina oggi di Jennifer Newstead a responsabile legale (General Counsel) dell’azienda: la Newstead è Legal adviser del Dipartimento di Stato americano e ha lavorato nello studio legale Davis, Polk & Wardwell, dove ha accumulato esperienza sulle diverse normative internazionali. Come ha affermato la Coo Sheryl Sandberg, “Jennifer è una leader esperta con visione e esperienza globale che ci aiuterà a centrare i nostri obiettivi”.