LA FUGA DI STARTUP

Google & Facebook si stanno prendendo (anche) l’hi-tech made in Europe

Non solo “cervelli”. Espatriano negli Usa aziende con tanto di brevetti e team al seguito. E a fare gola sono i fondi a disposizione nonché l’opportunità di finire in “pancia” ai colossi americani

Pubblicato il 03 Lug 2019

Antonio Dini

intelligenza-artificiale

Un tempo si parlava di brain-drain, di fuga di cervelli. Adesso fuggono anche le startup, con ragione sociale, brevetti, know-how e talenti al seguito. È l’Europa del XXI secolo, che guarda giustamente a proteggere ciò che l’ha resa unica durante le ultime due rivoluzioni industriali ma che non si rende conto della fuga di startup innovative in corso negli ultimi tempi. Dietro, non c’è solo il mercato inteso come mano invisibile e anonima, ma anche il lavoro determinato e attivo dei colossi come Google e Facebook. che non trovando resistenze fanno il loro lavoro e risucchiano tutti i talenti che possono di là dall’Atlantico.

La scorsa settimana, il londinese Financial Times ha riferito che un gruppo di ricercatori specializzati in informatica quantistica tra i più noti della Gran Bretagna si sono trasferiti nella Silicon Valley per fondare una startup chiamata PsiQ. L’esca che li ha attirati senza clamore al di là del “grande stagno” è stata l’abbondanza di capitale di ventura che non si trova mai in Europa.

Playground, la società americana di venture capital, fondata dal creatore di Android Andy Rubin, è tra gli investitori principali nella nuova startup. Guardando il consuntivo degli ultimi investimenti di Playground – due dei suoi successi più importanti sono stati venduti ad Amazon – PsiQ potrebbe benissimo diventare parte della collezione di trofei dei colossi dell’hi-tech.

Non sarebbe la prima volta che le startup tecnologiche più smart e promettenti d’Europa vengono divorate dai colossi della Silicon Valley e di Seattle. La britannica DeepMind (specialista di intelligenza artificiale tra i più quotati), la francese Moodstocks (sviluppatore di machine learning per il riconoscimento delle immagini di ottimo livello) e la tedesca Fayteq (che con un algoritmo molto sofisticato consente di rimuovere oggetti dai video) sono state tutte acquistate da Google.

Con ognuna di queste acquisizioni e trasferimenti, l’Europa perde terreno nella corsa globale ai talenti. Circa 562 startup europee sono state acquistate da società statunitensi tra il 2012 e il 2016, ovvero il 44% del totale, secondo la società di consulenza Mind the Bridge, riporta Bloomberg. Come afferma l’economista di Google Hal Varian, un ottimo motivo per acquistare queste aziende è riuscire a prendersi tutti i loro ingegneri in una volta sola. Ma secondo i dati più aggiornati di Mind the Bridge, relativi al 2018, la percentuale sarebbe scesa al 27%, lasciando qui ndi ben sperare per il futuro.

Per avere un’idea di quanto siano rare questo tipo di risorse, bisogna considerare che il pool internazionale di talenti per l’intelligenza artificiale – la “tecnologia che definisce la nostra epoca”, secondo il ceo di Microsoft – è al massimo di circa 205mila persone. La Germania e la Gran Bretagna sono tra i primi cinque hub per i talenti dell’IA a causa dell’eccellenza delle loro università. Ma è una lotta molto dura riuscire a tenere in casa questi ricercatori che sono molto apprezzati in tutto il globo.

La principale preoccupazione della fuga di cervelli non è l’orgoglio nazionale o un problema di bandiere; è invece una questione di potere. Si tratta infatti di chi controlla gli enormi dataset politicamente sensibili su cui si basa l’IA.

L’acquisizione da parte di Google di DeepMind è un esempio affascinante. Mentre la startup ha detto che avrebbe difeso la sua autonomia e si sarebbe attenuta ai suoi principi etici dopo essere stata acquisita, la promessa non è sopravvissuta all’incontro/scontro con la realtà. La reputazione di DeepMind è precipitata quando la sua partnership con il National Health Service britannico nel 2017 ha infranto la legge sulla privacy dei dati personali. La successiva mossa di Google per diluire l’unità che si occupa di dati sanitari di DeepMind nel resto dell’azienda ha preoccupato i sostenitori della privacy, creato tensioni interne e portato a notizie di persone che hanno deciso di andarsene.

I politici europei sembrano poco focalizzati nell’affrontare questi problemi. Vedono il denaro che scorre dalla Silicon Valley come un bene economico non ben consolidato e parlano di investimenti esteri diretti come un marchio di approvazione. In Francia, i ministri parlano con orgoglio dei laboratori di ricerca di Google e Facebook a Parigi. Sono laboratori che attirano tutti, da illustri professori a giovani dottorandi. Il ministro francese per gli affari digitali, Cedric O, ha dichiarato la scorsa settimana che le acquisizioni americane delle startup francesi sono “senza problemi” purché la tecnologia non sia critica.

Questa visione però secondo Bloomberg è miope, e mostra che i responsabili delle politiche industriali dell’Europa stanno ancora ragionando come i produttori del secolo scorso quando pensano ai settori che vogliono proteggere. E non lo fanno solo per ragioni economiche e industriali ma anche sociali, visto dell’elevato numero di posti di lavoro coinvolti. Invece di essere ossessionati da aziende di ingegneria meccanica come Alstom e Siemens, sostiene Bloomberg, Francia e Germania sarebbero più saggi se pensassero a DeepMind, Moodstocks e Fayteq – o alla ditta di robotica tedesca Kuka recentemente venduta in Cina.

Usare il denaro pubblico per migliorare la retribuzione dei ricercatori aiuterebbe, così come farebbero più partenariati pubblico-privato. Inoltre, secondo Bloomberg è necessario un controllo antitrust più severo sulla tecnologia, anche se diretto a proteggere l’interesse nazionale dei paesi europei. Infine, c’è sempre il sogno di una versione europea di Darpa, l’agenzia del Pentagono che negli Usa promuove le tecnologie emergenti per l’esercito ma le cui ricadute sono per il sistema paese americano e non solo. Basti pensare che è da Darpa che negli anni Sessanta è nata Internet.

L’esodo dall’Europa di settori hi-tech critici come AI e altre tecnologie di Big Data che sono chiave per il futuro secondo Bloomberg continueranno fino a quando i leader politici del Vecchio continente non prenderanno seriamente in considerazione la questione come invece fanno per i posti di lavoro nel settore minerario e manifatturiero. A meno che non si sveglino presto, però, la gara è praticamente già persa.

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