IL FENOMENO

La pubblicità online minacciata dai botnet

Anche sulla supply chain digitale, dove si muovono le campagne di marketing online, agiscono i cyber-criminali e dietro molte ad impression si possono celare macchine e non persone. L’industria del web cerca finalmente di reagire

Pubblicato il 28 Nov 2014

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Gli inserzionisti spostano somme di denaro sempre più consistenti dai media tradizionali verso il mondo online. Secondo eMarketer, quest’anno verranno spesi quasi 140 miliardi di dollari in campagne pubblicitarie online, in crescita del 15% sul 2013. Ma c’è un’ombra su questo mercato: è spesso impossibile dire se una pubblicità digitale è stata vista davvero, perché le frodi sono molto diffuse. Esperti dell’industria citati dal Financial Times sostengono che il 35% di tutte le cosiddette “ad impression” siano generate da “botnet”, quindi da macchine e non da persone.

Questo genere di frodi può assumere forme diverse. La più comune consiste nel manipolare il computer di qualche ignaro utente. Questi clicca su un link che porta su un certo sito, ma il sito è fasullo e fa partire l’installazione sul suo computer di un “bot”, un programma maligno che prende il controllo del Pc e effettua automaticamente una serie di operazioni, per esempio bombarda specifici siti – di solito gestiti dai criminali autori della frode – con click che generano le false “ad impression” e introiti per i criminali.

Le frodi perpetrate ai danni di siti internet e degli inserzionisti sono più facili da mandare a segno rispetto a quelle contro banche o società finanziarie, che hanno investito grandi somme per migliorare la loro sicurezza. “La supply chain digitale è un bersaglio facile”, sottolinea sul Ft Mike Zaneis dell’Interactive Advertising Bureau (Iab).

La tipica campagna pubblicitaria online, infatti, passa attraverso molteplici punti sul web, lungo una catena che è complessa e altamente vulnerabile. Un brand potrebbe pagare per fare una campagna pubblicitaria e la sua agenzia di pubblicità cercherà di piazzare le ad sul maggior numero di siti. Ma su più siti passa la campagna di marketing, più possibilità di frodi ci sono, perché il web è pieno di siti fraudolenti usati solo per installare malware sui Pc degli utenti o per condurre altre attività criminali. Per esempio quest’anno una campagna pubblicitaria di Mercedes-Benz è stata vista più da “bot” che da persone perché le ad sono finite, da un anello all’altro della catena, su siti fraudolenti: Telemetry, società britannica specializzata nello scovare le frodi, ha scoperto che il 57% delle 365.000 ad impression di questa campagna pubblicitaria sono state causate da “bot”.

L’industria della pubblicità non ha reagito a questo fenomeno prontamente, ma comincia finalmente a muovere i primi passi per combattere le frodi nell’online advertising. Sono nate numerose società anti-frode, come Spider.io, acquisita quest’anno da Google, che hanno portato alla luce molte frodi nelle campagne di marketing online.

Inoltre, Iab ha di recente formato un gruppo di lavoro con l’Fbi e il dipartimento di Giustizia americano per incoraggiare lo scambio di informazioni e aiutare a scoprire gli autori delle frodi, che sempre più spesso appaiono come gruppi organizzati. Il compito non è facile, ma la posta in gioco è alta: l’online advertising – core business per aziende come Google e Facebook – cresce a passi da gigante ed è quindi finora riuscito ad assorbire le perdite associate con le frodi, ma ciò non toglie che una maggiore trasparenza non potrà che giovare alla tenuta nel lungo termine di questo mercato.

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