Regolamentazione sui data center, rischi di concentrazione di mercato (leggasi: Digital Networks Act), Piano Italia 1 Giga e ristori sul Privacy shield. Sono solo alcuni dei dossier che Aiip, l’associazione italiana Internet provider, sta seguendo da vicino in queste settimane. E su tutti, praticamente, ha assunto una posizione critica.
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La posizione di Aiip sulla digital transformation
Molto dipende dall’impostazione di base dell’associazione guidata da Giuliano Peritore, presidente dallo scorso giugno, secondo cui la trasformazione digitale dovrebbe fondarsi su “pluralismo infrastrutturale, neutralità tecnologica e tutela dei diritti fondamentali. Principi necessari al superamento tanto della crescente concentrazione del potere tecnologico in pochi grandi operatori, quanto delle decisioni politiche che, sotto il pretesto di una finta sovranità digitale o dell’efficientamento, rischiano di marginalizzare le imprese indipendenti e le pmi”.
Gli stakeholder di Aiip, per l’appunto. I quali, giocando in uno spazio ristretto come quello italiano, hanno potenzialmente molto da perdere nel momento in cui il mosaico di quadri normativi e regolamenti in via d’approvazione sembra ridurre ulteriormente il margine d’azione dei piccoli player in un’arena sempre più globalizzata.
Aiip ha analizzato punto per punto i vari dossier ieri a Milano, in occasione di un incontro che l’associazione ha organizzato per confrontarsi con la stampa specializzata e per delineare la posizione della federazione sui rapidi cambiamenti in atto.
Guardando al periodo post Pnrr, “invochiamo l’apertura del mercato, l’interoperabilità e piena libertà di scelta per amministrazione e cittadini, riaffermando il ruolo delle pmi come motore essenziale della trasformazione digitale del Paese”, ha esordito Giuliano Peritore, che insieme al vice presidente di Aiip Giovanni Zorzoni ha poi provato a esplorare ciascuno scenario, mettendone a nudo le criticità.
Data center: sì alla semplificazione, anche per le strutture esistenti
Rispetto al tema della distribuzione dei data center sul territorio italiano, impossibile non fare riferimento al Dl Energia, che ha di fatto inglobato la proposta di legge avanzata, tra gli altri, dalla deputata di Azione Giulia Pastorella.
Nella bozza del dispositivo vengono indicati iter semplificati e tempi più brevi, che dovrebbero realizzarsi attraverso un provvedimento unico rilasciato dall’autorità competente per l’autorizzazione integrata ambientale (fino a 300 MW è individuata nella Regione e al di sopra di tale soglia nel Mase).
“Qualsiasi iniziativa che tocchi l’ambito delle autorizzazioni, non deve prescindere dall’estensione dei benefici anche ai data center esistenti”, ha puntualizzato Peritore, alludendo al fatto che, se davvero il Dl Energia riprendesse in toto la proposta di legge, le novità introdotte riguarderebbero solo la realizzazione di nuove strutture. “Rispetto al contenuto della norma qualsiasi elemento relativo a un nuovo progetto dovrebbe essere esteso anche all’ampliamento e al potenziamento dei campus già operativi”, ha ribadito il presidente di Aiip.
Più in generale, l’associazione chiede che ogni iniziativa legislativa, economica o finanziaria sul tema dell’elaborazione distribuita riconosca formalmente il ruolo strategico delle infrastrutture già presenti sul territorio, garantendo loro accesso paritario a strumenti di sostegno e impedendo che nuove distorsioni di mercato favoriscano soggetti opachi o meramente speculativi.
“C’è un enorme hype sul tema dei data center”, ha aggiunto Giovanni Zorzoni. “Forse un hype eccessivo, in base al quale si tende a sovrastimare il fabbisogno energetico di queste strutture da qui ai prossimi anni. Terna calcola che il consumo dei data center al 2030 sarà pari a 11 terawattora, equivalenti al 3% del fabbisogno nazionale. Siamo abbondantemente nei margini”.
Digital Networks Act, i rischi dell’iperconcentrazione
Rispetto all’impatto che il Digital Networks Act (Dna) potrebbe avere sul mercato, Aiip ritiene che, quanto meno nella versione attualmente proposta dalla Commissione europea, la misura sia profondamente lesiva del pluralismo infrastrutturale del modello competitivo che ha permesso all’Italia di sviluppare “un ecosistema di operatori alternativi efficiente, capillare e resiliente”.
Secondo Zorzoni, il Dna riflette in qualche modo la stessa strategia fallimentare varata per l’automotive europeo, ed “emerge proprio nel momento in cui alcuni grandi operatori risultano indeboliti da scelte industriali sbagliate: la risposta politica è quella di sostenere indirettamente una trasformazione del settore in un asset speculativo. L’intero impianto normativo sembra disegnato per favorire acquisizioni da parte di fondi di investimento interessati a rilevare quote di mercato con garanzie implicite e con un livello di rischio ridotto, grazie a una regolazione amica che blinda il valore dell’investimento a scapito della competizione”.
A uno scenario in cui potrebbe realizzarsi un “oligopolio di fatto”, Aiip propone la salvaguardia della “biodiversità” delle infrastrutture di telecomunicazioni europee fondate sulla molteplicità degli operatori attivi sul territorio.
“Abbiamo visto qualche giorno fa cosa succede quando si ha a che fare con una iperconcentrazione”, ha detto Zorzoni riferendosi al disservizio di Aws che lunedì ha paralizzato applicazioni e siti web in tutto il mondo. “Siamo disposti ad accettare, per esempio, un modello in cui i tre operatori non italiani controllano connettività, cloud e identità digitale? Basterebbe un guasto in Nord Europa per spegnere tre quarti del continente. L’esperienza ci dimostra che in ogni caso il servizio di un operatore si estende fino a colmare il bacino geografico che occupa. Questo significa che nel momento in cui si crea un’unica rete mobile, sperimentare anche un singolo incidente localizzato vuol dire trovarsi a gestire rischi inaccettabili in tutta l’Unione. Per noi la parola d’ordine continua a essere resilienza, che può essere garantita solo attraverso reti distinte, ma consolidate e interoperabili”.
Come incentivare il completamento del Piano Italia 1 Giga
C’è poi il tema della copertura Ftth: per raggiungere l’obiettivo che ci si era prefissati col bando Bul e col Piano Italia 1 Giga, Aiip suggerisce di operare un frazionamento dei lotti su base provinciale, incrementando la contendibilità degli stessi e permettendo di raggiungere gli obiettivi di copertura prefissati, impiegando parallelamente tutta la manodopera a disposizione questo processo. Un processo da avviare con regole di accesso trasparenti che prevedano criteri semplici, aperti anche per i fornitori di dimensioni medio piccole, evitando filtri, certificazioni o lungaggini che favoriscono solo i grandi attori.
Peritore e Zorzoni non hanno potuto fare a meno di notare che in questo frangente storico troppo spesso gli operatori di riferimento tendono a proporre ai clienti consumer soluzioni di connettività basate su tecnologia Fwa, anche in presenza di allacciamenti Ftth. “Ma a far perdere valore alla banda ultralarga e alla fibra, potenzialmente, contribuirebbe pure la mancata assegnazione dello spettro di frequenze a 6 GHz al Wi-Fi, che di fatto abilita l’utilizzo dell’ultrabroadband”, ha notato Zorzoni. “Qualora l’Italia o l’Europa non prendessero posizione per concedere al Wi-Fi l’intera banda che moltissimi paesi, primi tra tutti gli Stati Uniti d’America, hanno destinato alla tecnologia, d’altra parte, i consumatori e le imprese pagherebbero comunque il costo di componenti hardware che resterebbero parzialmente inutilizzate, con evidente inefficienza economica e disparità rispetto a utenti di altri Paesi”.
Piracy Shield, servono i ristori: ecco dove trovare le risorse
Durante l’incontro con i vertici di Aiip ha tenuto banco anche la questione del Piracy shield, che con la sua nuova configurazione presenta, secondo l’associazione, rilevanti criticità sotto il profilo tecnico, giuridico e delle garanzie per gli utenti, con rischi di overblocking e potenziali interruzioni di servizi leciti.
Ma c’è anche il problema dei ristori: per Aiip, sotto il profilo operativo, risulta imprescindibile prevedere meccanismi di compensazione economica per i costi sostenuti dagli operatori nell’attuazione degli ordini di blocco. Chi dovrebbe erogare, però, i ristori, e utilizzando quali risorse?
“Visto che il Piracy Shield è stato bollato come un successo, possiamo analizzare l’andamento del primo anno di applicazione dello strumento per quantificare i significativi guadagni che generato questo tipo di lotta alla pirateria”, ha proposto, non senza un filo di ironia, Zorzoni. “Si potrebbe avviare una sessione di verifica gestita da organi indipendenti che assegnino un rating sulla differenza di introiti tra prima e dopo l’applicazione del Piracy Shield. A quel punto sarebbe facile calcolare l’extra gettito e tassarlo per finanziare, almeno in parte, i ristori”.