Fibra: Enel, Vodafone e Wind “condannati” all’intesa

La trattativa è complessa. Ma Starace ha bisogno di operatori che “accendano” la fibra ottica portando i loro clienti. E per gli Olo è meglio affittare la rete da Enel piuttosto che da Telecom Italia

Pubblicato il 14 Mar 2016

Gildo Campesato

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Dopo tante dichiarazioni, l’Enel mostra di fare sul serio. L’amministratore delegato, Francesco Starace, ha chiarito che a maggio il progetto fibra della società elettrica diventerà operativo, a quasi un anno dai primi annunci.

Di firmato non c’è ancora nulla, ma è attesa a breve la formalizzazione di un accordo di Open Fiber (il braccio operativo di Enel nell’ultrabroadband, affidato alla guida di Tommaso Pompei) con alcuni operatori telefonici concorrenti di Telecom Italia: Wind e Vodafone le più gettonate. Si partirà nelle aree A e B, sostanzialmente le maggiori città, dove presumibilmente c’è più domanda di servizi ultrabroadband e dove la potenziale clientela è più concentrata.

Di avere operatori telefonici come alleati sin dall’avvio della posa della rete, l’Enel ha assolutamente bisogno. La stesura della fibra sino ai contatori dei palazzi o, addirittura, degli appartamenti richiede un impegno di investimenti costoso. E non giustificato dall’esigenza di introdurre i contatori di nuova generazione 2.0. La stessa Enel, rispondendo ad una specifica sollecitazione dell’Authority per l’Energia, ha riconosciuto l’esistenza di sinergie “modeste” con la fibra.

Per Starace l’ultrabroadband rappresenta un’occasione di business specifico che va ad integrare quello elettrico. Tra l’altro, si tratta di un’iniziativa ben vista dal governo. La posa dei nuovi contatori è una semplice coincidenza temporale che consente di risparmiare sui rilegamenti. Il numero uno dell’Enel è convinto di poter cablare a costi minori degli operatori telefonici tradizionali grazie alla capillarità e alla vicinanza alle case delle cabine elettriche, quasi 10 volte più diffuse dei cabinet stradali di Telecom Italia. Ed anche, nelle zone a fallimento del mercato, per la diffusione delle sue infrastrutture aeree in cui ai fili elettrici si potrebbero abbinare i cavi ottici.

Tuttavia, la fibra è un business dai ritorni a tutt’oggi incerti. Di sicuro, c’è soltanto che posarla costa. Telecom Italia mantiene tutt’ora circa l’80% del mercato del fisso. Portare la fibra, ma non portare via anche una parte dei clienti che Telecom detiene nelle zone più ricche del Paese per Enel significa rischiare di tenersi la fibra spenta e rendere poco giustificato l’investimento. Nel suo azionariato la società elettrica non ha soltanto lo Stato (tra l’altro con un peso decrescente) ma anche grandi fondi di investimento e moltissimi piccoli azionisti che chiederanno conto dei risultati raggiunti.

Va poi considerato che nelle aree A e B, le più interessanti per il mercato, stiamo assistendo ad una accelerazione degli investimenti di Telecom Italia in seguito al lancio del nuovo piano triennale 2015-2018. Così come è crescente l’impegno nella posta delle tecnologie fiber to the cabinet anche da parte di Fastweb e della stessa Vodafone. Tecnologia di transizione, non c’è dubbio, ma anche con potenzialità via via maggiori mano a mano che l’Fttc si perfeziona, anche con tecnologie di vectoring avanzato.

Nelle zone più appetibili si va dunque delineando uno scenario che vede una sovrapposizione di reti ultrabroadband: i cabinet Fttc (persino di tre operatori diversi nello stesso posto), la fibra di Telecom, quella di Enel e alleati. Con in più l’incognita Metroweb, che non si sa ancora con chi giocherà la partita.

È evidente che, a meno di un rapido decollo della domanda di ultrabroadband a prezzi remunerativi, qualcuno potrebbe lasciarci le penne. Starace ha ben presente questo rischio ed è proprio questa la ragione per la quale prima di partire con gli investimenti vuole la certezza di un quadro regolatorio ben definito (in particolare, prezzi e condizioni di servizio wholesale), ma anche la sicurezza di una sponda verso il mercato retail che può essere garantita soltanto dagli operatori telefonici suoi partner. Tanto più nelle aree a fallimento di mercato dove non c’è da recuperare il capex, visto che gli investimenti nella fibra li farà lo Stato, ma certamente si tratta di recuperare, con un certo margine, i costi operativi della gestione.

La discussione è in corso da mesi, ma ormai siamo chiaramente ad un punto di caduta. Si tratta di trattative molto complesse anche perché traguardano accordi che devono durare molti anni, con scenari tecnologici e regolatori che possono rivelarsi mutevoli.

Le divergenze ci sono ancora, ma l’accordo è più probabile di una rottura. Se non altro per la ragione che agli Olo conviene affittare la fibra da un service provider terzo come Enel piuttosto che da un concorrente come Telecom Italia. Come ha più volte sottolineato l’amministratore delegato Marco Patuano, l’affitto wholesale ai concorrenti è comunque una fonte di ricavi aggiuntivi per Telecom. Per dirla in sintesi, sulla fibra Enel ed Olo sono condannati all’accordo.

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