CONSIGLIO DEI MINISTRI

Renzi abroga la web tax. E Boccia contrattacca

Il Consiglio dei ministri abroga la norma della legge di stabilità che prevedeva la tassa. Il premier: “Avevamo detto no alla norma sulla pubblicità online, siamo stati di parola”. La replica di Boccia: “Sei stato di parola con gli Ott”

Pubblicato il 28 Feb 2014

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Abrogata la web tax. Il Consiglio dei ministri di oggi ha infatti “abrogato la norma della legge di stabilità che prevedeva” la tassa. Durante il Consiglio Matteo Renzi lo aveva preannunciato in un tweet che la web tax era stata rimossa: “se ne riparlerà “in un quadro di normativa europea”, precisava il premier. La prima versione del decreto Salva Roma aveva infatti al suo interno una norma relativa al rinvio dal primo gennaio al primo luglio 2014 della normativa sulla pubblicità online, prevista nella legge di stabilità.

Il primo a commentare l’aborgazione è stato il promotore della norma, Francesco Boccia (Pd), che lo ha sostanzialmente accusato, sempre su Twitter, di aver fatto un favore agli Ott. Rispondendo a una frase di Renzi (“Siamo stati di parola”), Boccia ha twittato “Sì, di parola con gli Ott! #sestaiserenotu“. E continua ribadendo che con la webtax lo Stato avrebbe ottenuto nel 2014 137,9 milioni di tasse dal settore pubblicità online contro i 6 milioni del 2013.

In risposta a Gianni Riotta e a Roberto Scano, presidente di Iwa Italy, che, a Consiglio dei ministri in corso, scriveva: “Tra poco sapremo se @matteorenzi ha sospeso, rimosso o mantenuto #webtax”, il premier ha twittato: “@rscano @riotta rimosso. Ne riparleremo in un quadro di normativa europea”.

Un’ora e mezzo circa dopo la fine del Cdm, Renzi ha diffuso un ulteriore tweet: “Avevamo detto no #webtax Siamo stati di parola #lavoltabuona“. Ma poco dopo è arrivato il “cinguettio” polemico di Boccia rivolto direttamente al presidente del Consiglio: “Sì, di parola con Ott! #staiserenotu 2013 6mln di tasse, 2014 con mia tracciabilità 137,9mln”. In pratica il deputato pidiessino ha ricordato i dati emersi dalla relazione tecnica sulla Legge di Stabilità (con cui era stata approvata la web tax). Dati in base ai quali la normativa avrebbe portato nelle casse dello Stato un totale di 137,9 milioni di euro (119,9 milioni di Ires e 18 milioni di Irap), a fronte dei 6 milioni di euro del 2013.

Dopo un faticoso iter parlamentare, che ne aveva dimezzato la portata (inizialmente si intendeva tassare tutto l’e-commerce, poi è passata la versione light relativa alla sola pubblicità online), proprio a seguito di dichiarazioni di Matteo Renzi, la web tax era stata approvata a fine dicembre nell’ambito della Legge di Stabilità, ed era destinata ad entrare in vigore dal primo gennaio 2014. Ma a fine anno era stato deciso di posticiparla al primo luglio 2014, con una norma – circoscritta al solo rinvio – “infilata” nel cosiddetto Salva Roma.

Due giorni fa, però, il governo ha dovuto rinunciare alla conversione del decreto legge 30 dicembre 2013, n. 151 (appunto il Salva Roma) destinato principalmente ad affrontare i problemi urgenti degli enti locali a causa dell’ostruzionismo di Lega e Movimento 5 Stelle. A quel punto per la web tax, detta anche Google tax o spot tax, sarebbe scattata l’entrata in vigore da sabato primo marzo. Ma ora il problema non dovrebbe più porsi.

Peraltro il politico fiorentino si era sempre opposto all’introduzione di questa norma e un gruppo di renziani, capitanati da Lorenza Bonaccorsi, aveva presentato un ordine del giorno, dopo la sua approvazione, per chiederne la sospensione e per spostare la riflessione in sede europea.

Dall’inizio dell’anno sono almeno tre i soggetti, l’associazione Iwa Italy e due privati, Andrea Caccia e Marco Bazzoni, che hanno presentato denuncia alla Commissione europea a proposito della web tax perché, a loro parere, viola le normative comunitarie sulla libera circolazione di beni e servizi in ambito europeo. Ma finora non è arrivato alcun pronunciamento ufficiale in merito da parte della Ue. Però al momento della sua approvazione. Emer Traynor, portavoce del commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale Algirdas Šemeta, aveva osservato che “sembrerebbe contraria alle libertà fondamentali e i principi di non-discriminazione stabiliti dai trattati”.

Da parte sua Francesco Boccia ha continuato a difendere strenuamente il provvedimento sottolineando che, proprio a causa di questa “battaglia condotta dall’Italia”, il tema della tassazione dei colossi del web nei Paesi in cui operano è diventato “centrale per l’Unione europea”. Con lui nella difesa della web tax anche l’editore Carlo De Benedetti. Tra le numerose voci contrarie il Movimento 5 Stelle, Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale e Riccardo Donadon, presidente di Italia Startup.

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