STRATEGIE

Chip, Nvidia guarda alle gigafactory di Intel per diversificare la supply chain

Il produttore di schede grafiche interessato ad utilizzare i servizi di fonderia del colosso Usa che si accinge ad aprire nuove fabbriche in Europa e in Italia. Incontri in corso

Pubblicato il 24 Mar 2022

Patrizia Licata

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Nvidia potrebbe essere il prossimo cliente dei servizi di fonderia dei chip di Intel. Jensen Huang, ceo del produttore americano specializzato nelle schede grafiche, ha detto in una conferenza stampa che Nvidia è interessata a esplorare l’utilizzo di Intel per la fabbricazione dei suoi chip. Il ceo ha chiarito che si tratta di valutazioni che richiedono tempo, anche perché occorre integrare le supply chain.

Ma la notizia ha già fatto salire il valore del titolo di Intel. Il colosso americano dei chip ha aperto una nuova divisione specializzata nei servizi di fonderia (Intel Foundry Services, Ifs) su cui punta per sostenere la crescita e sta anche aprendo nuovi stabilimenti negli Stati Uniti e in Europa per potenziare la sua capacità produttiva.

Nvidia spinge sulla diversificazione

L’anno scorso Intel aveva detto che Qualcomm e Amazon.com sarebbero stati clienti delle sue fonderie. All’agenzia Reuters il ceo di Intel, Pat Gelsinger, ha confermato incontri in corso con Nvidia e che la sua azienda è “entusiasta” dell’interesse mostrato dai potenziali clienti, anche se al momento non ci sono decisioni definitive e date in cui collocare eventuali finalizzazioni degli accordi.

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Attualmente la maggior parte delle attività di assemblaggio per Nvidia è appaltata a Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co) e Huang ha sottolineato che “essere una fonderia del calibro di Tsmc non è uno scherzo”. Serve un cambiamento di cultura per fornire non solo processi ma servizi, ha aggiunto il numero uno di Nvidia.

Per i disegnatori di chip come Nvidia è tuttavia naturale guardare a una diversificazione dei contractor per la fonderia, notano gli analisti. E Huang ha chiarito di non avere alcuna preoccupazione a lavorare a fianco di un’azienda, come Intel, che è anche un concorrente, perché fidarsi dei partner industriali e collaborare con loro è fondamentale e Nvidia è da sempre partner di altre aziende, Intel inclusa. “Intel conosce da anni i nostri segreti”, ha detto.

L’Italia nella strategia di Intel per la fonderia

Intel ha svelato la scorsa settimana la fase uno della sua strategia di investimento nell’industria dei chip in Europa. Un impegno complessivo di 80 miliardi di euro in dieci anni che si riverserà su tutta la supply chain, dalla ricerca e sviluppo fino alla produzione e alle più avanzate tecnologie di packaging dei chip. Il ceo di Intel, Pat Gelsinger, ha fornito i dettagli della prima tranche: investimenti per oltre 33 miliardi di euro in nuove strutture produttive, di cui 17 miliardi per la gigafactory in Germania, 12 miliardi per l’ampliamento di strutture esistenti in Irlanda e 4,5 miliardi per la realizzazione in Italia del primo impianto europeo di back-end (packaging) per la fabbricazione di chip. La previsione è di assumere nel nostro paese 1.500 dipendenti Intel, con ulteriori 3.500 posti di lavoro che si creeranno nell’indotto.

In Europa Intel costruirà i propri chip ma anche fabbricherà i chip per conto terzi.

M&A sul mercato dei chip

Gli investimenti in capacità produttiva e ricerca e sviluppo fanno parte della strategia Idm 2.0 di Intel con cui il produttore di Santa Clara cerca di rispondere alla crescente domanda di semiconduttori avanzati e di creare una supply chain dei chip più resiliente potenziando la propria capacità produttiva e i servizi di fonderia. A febbraio Intel ha anche comprato Tower Semiconductor, fonderia di chip per la produzione di soluzioni basate su semiconduttori analogici, per un valore di 5,4 miliardi di dollari.

Nvidia invece è stata costretta a rinunciare all’acquisizione del chipmaker britannico Arm dopo che la capogruppo di quest’ultima, SoftBank, ha deciso di non proseguire con il deal. L’accordo Nvidia-Arm, valutato 40 miliardi di dollari, si è scontrato con le difficoltà poste dai regolatori di Usa, Ue e Regno Unito, preoccupati dall’effetto dell’acquisizione sulla concorrenza e e sull’innovazione nel mercato dei semiconduttori.

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