FISCO

Facebook Italia, solo 156mila euro di tasse in due anni

Accertamenti della Guardia di Finanza nella sede tricolore del social network a Milano. Operativa dal luglio 2009 conta 23 milioni di iscritti e ha registrato utili per 88mila euro. Ricavi raddoppiati nel 2011 a quota 2 milioni

Pubblicato il 07 Dic 2012

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La Guardia di Finanza ha avviato verifiche su Facebook Italia. Il Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme Gialle di Milano ha condotto una serie di accertamenti amministrativi presso gli uffici milanesi dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg. Si tratta, con ogni probabilità del riscontro di un corretto adempimento degli obblighi tributari in Italia, esattamente come avvenuto qualche giorno fa con Google Italy.

Sono numeri piccoli quelli fotografati dai documenti depositati presso la Camera di Commercio da Facebook Italy srl, la filiale italiana del colosso dei social network perquisita dalla Guardia di Finanza. Il capitale sociale ammonta appena a 10mila euro, 11 dipendenti, pochi utili e, conseguentemente, poche tasse nel nostro Paese.

In due anni e mezzo, dalla sua costituzione il 21 luglio del 2009 alla fine del 2011, Facebook Italy Srl ha realizzato utili per circa 88mila euro e, quel che più interessa al fisco italiano, pagato imposte per circa 156 mila euro. Nel nostro Paese – secondo il sito Socialbakers – Facebook ha circa 23 milioni di iscritti, con una penetrazione del 38% della popolazione. L’Italia è l’11esimo paese al mondo per numero di iscritti al social network di Mark Zuckerberg.

Facebook Italy, si legge nei documenti disponibili, “opera quale supporto operativo nella raccolta di pubblicità online per la controllante Facebook Inc – Usa e per la società consociata Facebook Ireland” ed è amministrata dalla statunitense Rachel Herman Cipora e dall’irlandese Hugh Crehan Shane. Le quote sono detenute da Facebook Global Holdings II con sede nel Delaware, stato americano dalla legislazione fiscale molto morbida.

Nel 2011 i ricavi sono raddoppiati da 1,1 a 2 milioni e si riferiscono ai ”servizi prestati” a Facebook Ireland ”per la promozione di servizi nel mercato italiano”. Gli stipendi, gli oneri sociali e il tfr degli 11 dipendenti hanno assorbito quasi 1,3 milioni su 1,86 milioni di costi sostenuti nel 2011.

La replica di Facebook non si è fatta attendere: “Facebook paga le tasse in Italia come parte della sua attività nel Paese e rispetta molto seriamente i propri obblighi ai sensi della legislazione italiana in materia fiscale. Facebook lavora a stretto contatto con le autorità fiscali di ogni Paese in cui opera per garantire la conformità con la legislazione locale. Facebook ha cooperato pienamente con la Guardia di Finanza nel corso delle indagini e intende continuare a farlo”.

Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha invitato pubblicamente Google a versare all’Erario 96 milioni di euro di Iva inevasa nel nostro paese, relativa alle annualità 2002 – 2006, oggetto di un’indagine della Guardia di Finanza.

Le verifiche fiscali nei confronti di Facebook Italia, che ha la sua sede principale all’estero, rientrano in un’ampia offensiva condotta dalle autorità fiscali internazionali nei confronti delle multinazionali americane – net company e non – a livello europeo. Nel mirino la pratica alquanto diffusa fra le maggiori net company – Google, Amazon ma anche Starbucks – di eludere le maglie del fisco dei vari paesi europei attraverso triangolazioni internazionali, del tutto legali, che tuttavia sottraggono all’erario nazionale diversi milioni di euro.

Nei giorni scorsi, nel regno Unito è partita un’offensiva per ridisegnare il regime fiscale che consente a diverse net company Usa, Google e Amazon in testa, di eludere le tasse nazionali dichiarando i loro ricavi in paesi, come ad esempio l’Irlanda, dove l’imposizione fiscale è più favorevole per le multinazionali. Lo scrive il Sunday Telegraph, secondo cui il Tesoro sta cercando sponde in altre giurisdizioni, compresi gli Usa e l’Europa, per mettere una pezza legislativa alle crepe del sistema fiscale, che consentono alle web company di eludere – in maniera del tutto legale – tasse per milioni in tutto il mondo.

A breve, il governo nominerà un esperto di tasse, per avviare la revisione del regime fiscale e contrastare così la levata di scudi che si è alzata negli ultimi tempi nei confronti di Google & Co non soltanto nel Regno Unito, ma un po’ in tutta l’Europa. La nomina dell’esperto è attesa nei prossimi giorni, forse già per domani.

Negli ultimi tre anni Amazon Uk, la divisione britannica della net company Usa, ha pagato in tasse appena 2,3 milioni di sterline nel Regno Unito, a fronte di ricavi complessivi per 7,1 miliardi di sterline. Dal canto suo, Google nel 2011 a registrato ricavi per 2,5 miliardi di sterline in Uk, pagando appena 6 milioni di tasse baypassando così il sistema inglese, mossa perlatro condivisa da Facebook.

Il governo inglese sta cercando di raggiungere accordi bilaterali con diversi paradisi off shore, come ad esempio l’Isola di Man, le Isole Cayman e le Bermuda, dove le net company Usa effettuano gran parte delle triangolazioni finanziarie che consentono legalmente di eludere le tasse dei diversi paesi europei.

In Francia, il Consiglio di Stato sta studiando da tempo alternative al regime fiscale delle net company operative nel paese transalpino. L’obiettivo è mantenere entro i confini una percentuale di tasse più consistente sul business sviluppato in patria. Anche in Italia monta la protesta, come dimostra il recente appello del deputato Pd Stefano Graziano al monostro dell’Economia Vittorio Grilli per adottare misure normative nei riguardi delle aziende Usa che operano online che – come Google – e che, sfruttando ingegnerie finanziarie offerte dalle disparità dei sistemi fiscali europei, riescono a non pagare le tasse nel nostro Paese.

Intanto, secondo alcune indiscrezioni, il social network di Zuckerberg avrebbe avviato colloqui con Microsoft in vista dell’acquisizione della piattaforma pubblicitaria Atlas Solutions. In questo modo Facebook farebbe un salto in avanti nella costruzione di un network esterno di annunci promozionali che potrebbe rivaleggiare con DoubleClick di Google su un mercato globale. Il gigante social, inoltre, può contare su un bacino di oltre un miliardo di iscritti. Facebook e Microsoft per ora non hanno commentato la notizia.

Microsoft ha inglobato Atlas Solutions nel 2007 con l’acquisizione del gruppo aQuantive per 6 miliardi di dollari. Già dall’estate era trapelato un progetto del social network per allargare le inserzioni commerciali oltre i confini della sua piattaforma e approdare su siti web esterni.

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