LO SCANDALO

Il datagate frena la pubblicità, Facebook rischia di perdere 2 miliardi di dollari l’anno

Impatto a lungo termine sulla fiducia degli utenti e sulle ads, secondo alcuni analisti. Ma per ora Mark Zuckerberg esce a testa alta dalle audizioni parlamentari e intasca 3 miliardi di dollari grazie alla crescita del titolo in Borsa

Pubblicato il 12 Apr 2018

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La strapazzata che i parlamentari americani hanno dato a Mark Zuckerberg non sembra aver danneggiato le quotazioni di Facebook: 10 ore complessive di domande da quasi 100 senatori e deputati del Congresso degli Stati Uniti non hanno impedito al titolo dell’azienda del social da 2,2 miliardi di guadagnare in Borsa lo 0,78% mercoledì dopo un balzo del 4,5% martedì. In due giorni, le azioni in tasca a Zuckerberg si sono apprezzate di 3 miliardi di dollari.

Il Ceo di Facebook ha risposto alle domande di senatori e deputati senza gravi cadute e abilmente evitando impegni concreti sulla regulation, commenta Reuters. Vero, anche se, né Zuck né i parlamentari americani hanno fatto una gran figura, tra senatori che evidentemente non hanno chiaro come funzioni il social network e quali legami abbia, per esempio, con Instagram e Whatsapp, e il miliardario 33enne che su diverse richieste puntuali – per esempio, team interni che potrebbero aver lavorato sulle campagne politiche o le modalità con cui Facebook cattura anche i dati dei non iscritti – si è limitato a dire “Non lo so”, “Vi farò avere la documentazione tramite il mio staff” (un parlamentare su tre ha ricevuto questo tipo di risposta nelle due audizioni, sottolinea Reuters).

Qualcosa di corretto Zuck l’ha detto: almeno in parte, le protezioni per i dati personali su Facebook ci sono, anzi sono appena state rafforzate, ma gli utenti spesso non le usano. Non è una giustificazione, ma Zuckerberg sostiene che le regole sono troppo complicate e non si può mettere sul social un documento informativo che nessuno leggerà. La General data protection regulation dell’Europa però è perfetta: Zuck la considera lo standard per tutti e lo diventerà anche per Facebook – un’affermazione che ha spinto la commissaria Ue alla Giustizia Vera Jourova a commentare: “Grazie, signor Zuckerberg. Stavo pensando a come pubblicizzare il nuovo regolamento sulla protezione dei dati e, voilà, è fatta”.

Ma in concreto il fondatore di Facebook, dicendosi favorevole alle regole purché siano buone regole, non ha preso impegni su niente e ha lasciato il Congresso americano con gli stessi dubbi che aveva prima delle audizioni. Zuckerberg non ha soddisfatto nemmeno l’Europa, dove il Working Party 29, l’organismo dei Garanti privacy Ue, ha chiaramente detto che le scuse non bastano e che lavorerà a una strategia di lungo termine per creare baluardi per tutti i social media e i loro ecosistemi, che includono sviluppatori di app e società che analizzano i dati. Nei giorni scorsi in Italia il Garante privacy Antonello Soro aveva invitato a estendere le indagini sul caso Cambridge Anaytica per chiarire eventuali manipolazioni delle informazioni personali per finalità politiche; gli utenti italiani spiati potrebbero essere più dei 214mila finora scoperti.

Riusciremo a risolvere i problemi di Facebook, ma ci vorranno un po’ di anni, aveva ammesso Mark Zuckerberg in un’intervista rilasciata a Vox all’indomani dello scandalo Cambridge Analytica. Nel frattempo le fortune del social network potrebbero cominciare a patire le conseguenze del datagate: Daniel Ives, Chief strategy officer di GBH Insights, pensa che circa il 3% delle entrate pubblicitarie annuali di Facebook potrebbe sparire dopo le notizie sullo scarso controllo sui dati personali degli utenti. Ives basa le sue affermazioni sul GBH Tech Tracker user survey, uno strumento che monitora l’opinione del pubblico sui fatti d’attualità: circa il 15% degli utenti di Facebook ora è diffidente verso la piattaforma e ha deciso di non usarla. Ives chiarisce: è un danno “contenuto” per il colosso dei social, ma che costerebbe comunque fino a 2 miliardi di dollari.

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