IL CASO

Equo compenso, presentata a Bruxelles la prima denuncia

Ricevuta e protocollata dalla Dg Mercato e Servizi la richiesta di apertura di procedura di infrazione contro l’Italia, a firma di Marco Bazzoni: “Il decreto Franceschini non rispetta la direttiva sul diritto d’autore”

Pubblicato il 28 Lug 2014

Federica Meta

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La Commissione europea apra una procedura d’infrazione contro l’Italia. Lo chiede la prima denuncia italiana, a firma di Marco Bazzoni e protocollata dalla Commissione Europea Dg Mercato e Servizi il 23 Luglio 2014, contro il decreto sull’equo compenso per copia privata varato dal ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini. Secondo la denuncia il provvedimento del Mibcat violerebbe la direttiva europea 2001/29/CEE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione.

“La direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione – spiega Bazzoni – stabilisce che gli Stati membri abbiano la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione di cui all’articolo 2 per quanto riguarda: le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso che tenga conto dell’applicazione o meno delle misure tecnologiche di cui all’articolo 6 all’opera o agli altri materiali interessati”. Quindi, in alcuni ordinamenti europei, tra cui l’Italia, l’equo compenso è dovuto; in altri, invece, no (ad esempio, in Inghilterra).

“L’equo compenso, peraltro, prescinde dall’effettivo utilizzo del dispositivo per finalità di riproduzione – prosegue Bazzoni – nel caso Padawan del 2010, i giudici comunitari hanno chiarito, infatti, che il compenso per copia privata può gravare solo su apparecchi, dispositivi e materiali di riproduzione digitale presumibilmente utilizzati ai fini della realizzazione di copie private (ma non su altri mezzi di riproduzione) e che non rilevi, perché sia effettivamente dovuto il compenso, che gli strumenti tecnologici siano effettivamente utilizzati per finalità di riproduzione”. Per tutti questi motivi Bazzoni chiede l’aertira della procedura di infrazione contro l’Italia.

Già nel gennaio 2014 Marco Bazzoni, aveva inviato alla Ue una denuncia – protocollata col numero CHAP(2014)00001 – con la richiesta di avvio di una procedura per eventuale infrazione relativa alla norma che prevede l’obbligo di acquistare pubblicità online solo da chi possiede partita Iva italiana, la cosiddetta web tax. La norma promossa da Francesco Boccia (Pd) era stata approvata approvata il 24 dicembre nell’ambito della Legge di Stabilità e successivamente fatta slittare a luglio dal Decreto Milleproroghe. In quel caso, secondo Bazzoni, la web tax avrebbe violato la direttiva europea 2006/123/CEE, detta anche direttiva Bolkestein, all’articolo 16, comma 2. La direttiva riguarda la libera circolazione di beni e servizi in Europa.

Anche Anitec scende di nuovo in campo contro il decreto. “La crescita dell’equo compenso per copia privata ha l’effetto, sotto il profilo produttivo, di un aumento del costo delle materie prime. Ogni azienda vive situazioni diverse e decide politiche commerciali proprie, tuttavia è probabile che molti produttori di tecnologia ritengano di non poter assorbire l’aumento deciso dal Decreto Franceschini, poiché esso si somma, naturalmente, al costo industriale del prodotto – sottolinea Claudio Lamperti, vicepresidente Anitec – Un aumento complessivo di oltre il 150% dell’equo compenso comporta chiaramente un impatto sui prezzi e a questo punto non è più sufficiente ritornare alle percentuali del vecchio Decreto Bondi, ma è necessario rivedere radicalmente una disciplina che colpisce la tecnologia per un danno potenziale alla cultura, quando invece la partnership fra industria culturale e high tech è assolutamente virtuosa per sua natura”.

“Un decreto che prevede un gettito superiore di 2,5 volte quello del 2013 – aggiunge Lamperti – rappresenta un aumento ingiustificato, che non tiene conto delle mutate abitudini dei consumatori, né dell’evoluzione delle tecnologie e ci disallinea rispetto all’Europa: l’indagine, datata gennaio 2014 e commissionata dall’allora Ministro Bray, conferma che il fenomeno della creazione di una copia privata è quasi azzerato, poiché il 70% del campione intervistato ha dichiarato di scegliere la fruizione in streaming dei contenuti. Solo il 13,5% della popolazione intervistata ricorre sistematicamente alla copia privata in modo sistematica”.

Anche da un recente studio pubblicato dalla Commissione Europea risulta che circa il 70% dei cittadini europei guarda film in streaming, utilizzando tablet e smartphone. Secondo il Rapporto sulla copia privata presentato dalla eurodeputata francese Françoise Castex all’inizio di quest’anno il gettito 2012 dei compensi per copia privata ha raggiunto in Europa la cifra di 600 milioni di euro. Con il nuovo decreto il gettito il corrisposto dall’Italia sarebbe pari al 23% della raccolta complessiva europea, a fronte di un rapporto tra il PIL italiano ed il PIL espresso dalla somma dei Pil dei Paesi che concorrono alla raccolta totale pari al 15%.

“Già le tariffe previste nel 2009 dal Decreto Bondi – spiega Lamperti – non riflettevano il carattere residuale che il legislatore assegna espressamente al compenso. I dati dell’ultimo bilancio certificato Siae sono inequivocabili: su un gettito totale per diritto d’autore pari a 600 milioni di euro, la parte derivante dai contributi per equo compenso viene dichiarata in 72 milioni: ben il 12%. Con le tariffe annunciate, a parità di gettito non dovuto per compenso per copia privata, la raccolta complessiva sarebbe quindi pari a 688 milioni, di cui 160 dovuti a raccolta per equo compenso rappresentando cosi il 23%. Di conseguenza non si può ritenerlo più un compenso ma un sussidio da un’industria all’altra. Un primo indispensabile correttivo è prevedere sul decreto di determinazione dei compensi il concerto anche del ministero dello Sviluppo Economico. La procedura di revisione del decreto deve essere modificata: il Comitato Consultivo Permanente per il Diritto d’Autore dovrebbe prevedere una paritetica ed equa rappresentanza dell’industria dell’ICT e dell’industria dei contenuti, unitamente anche ad una rappresentanza delle associazioni dei consumatori. È fondamentale poi esentare i prodotti ad uso professionale. In Francia e Germania i produttori hanno fatto ricorso: in Francia il Consiglio di Stato ha recentemente infatti, annullato le tariffe sui tablet, mentre in Germania molti produttori a fronte di tale ricorsi hanno deciso di non corrispondere la tariffa su alcune tipologie di prodotti, La Spagna ha cancellato l’equo compenso nel 2012. In altri paesi si tratta di pochi centesimi di aumento.

“Ultima anomalia – conclude Lamperti – è poi l’introduzione del compenso per copia privata sulle tv con funzione di registrazione, dove l’eventuale ‘copia’ può essere vista solo sul dispositivo che ha originato la registrazione: si può realmente parlare di creazione una copia privata anche in questo caso? Caso, quello italiano, unico in Europa”.

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