L'ANALISI

Chip, l’allerta di Moody’s: “La carenza può avere impatti sulla sicurezza nazionale”

Il disallineamento fra domanda e offerta esacerba le tensioni geopolitiche. La sovranità tecnologica diventa la chiave per abbattere i rischi di dipendenza ed evitare conflittualità. L’Europa nel guado

Pubblicato il 04 Ago 2021

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La crisi dei chip spinge sempre più nazioni ad attrezzarsi per produrre autonomamente i semiconduttori, divenuti ormai “materia di sicurezza nazionale“. Lo ha detto Timothy Uy, associate director di Moody’s Analytics, intervenendo nel programma “Squawk Box Asia” della rete americana Cnbc.

“Credo che il principale problema sia la difficoltà di avere forniture più consistenti, mentre l’aumento della domanda non sembra destinato a rallentare”, ha affermato l’analista di Moody’s. “Sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta credo che le aziende si stiano adeguando. Anche i governi stanno entrando in azione perché considerano la questione, in qualche modo, materia di sicurezza nazionale”.

Glenn O’Donnell,  vice president research director di Forrester, ha affermato che la penuria di chip sul mercato globale potrebbe durare fino al 2023.

Mancano i chip per smartphone, server e automobili

I riflettori sono accesi in particolare sui chip di memoria, usati in un’ampia gamma di dispositivi connessi, dagli smartphone alle console per i giochi, dagli elettrodomestici intelligenti fino alle automobili. Sono impiegati anche nei data center per alimentare i server.

Fabbricare i chip non è però semplice: oltre alla tecnologia occorrono grandi capitali e il processo produttivo richiede settimane. Ci vuole ancora di più per la distribuzione, ha sottolineato Uy. La nuova offerta non può dunque essere creata dall’oggi al domani; anzi, in alcuni casi possono volerci anni prima di immettere nuovi chip sul mercato, considerati i tempi di realizzazione degli stabilimenti produttivi e di adozione delle tecnologie. La necessità di grandi sforzi di capitale restringe la capacità di produrre a pochi big.

I chip di nuova generazione garantiscono margini più alti, ha proseguito Uy, ed è per questo che molti produttori stanno indirizzando l’attività verso le nuove generazioni a scapito dei chip più vecchi. Ed è questo il problema che colpisce l’industria delle automobili, una di quelle che più sta soffrendo la mancanza di componenti sul mercato: le auto usano tanti chip diversi, molti dei quali di vechia generazione rispetto a quelli impiegati negli smartphone.

Ciononostante Uy ha detto che l’offerta aumenterà presto grazie a grandi vendor come la taiwanese Tsmc, la coreana Samsung e Umc impegnati in forti investimenti per accrescere la capacità di produrre e distribuire.

Sovranità digitale, l’Ue si attrezza per produrre più chip

Quanto agli sforzi dei governi, la Commissione europea ha creato lo scorso mese un’alleanza industriale per i semiconduttori (Alliance for Processors and semiconductor technologies), una delle tecnologie chiave per lo sviluppo delle imprese del digitale nel nostro continente e dell’indipendenza tecnologica dell’Europa – quella che viene definita la sovranità digitale.

L’Alleanza industriale sulle tecnologie per processori e semiconduttori avrà il compito di portare l’industria europea verso una nuova fase di sviluppo. Si occuperà di individuare e affrontare gli attuali colli di bottiglia, necessità e dipendenze nell’industria nel suo complesso. Definirà inoltre una roadmap tecnologica per assicurare all’Europa la capacità di progettare e produrre i chip più avanzati e al tempo stesso ridurre le sue “dipendenze strategiche”. L’obiettivo è accrescere la quota dell’Ue nella produzione globale di semiconduttori al 20% entro il 2030.

L’Alleanza dovrà fare in modo che l’Europa abbia la capacità di sviluppo e produzione in-house, spostando sul proprio territorio i laboratori di ricerca e le fabbriche per processori e componenti elettroniche di nuova generazione e “affidabili”. Bruxelles cita come obiettivo a breve termine la produzione di chip 10 nm ma, a tendere, si dovrà arrivare sotto i 5 nm fino a 2 nm per “anticipare le future necessità tecnologiche”.

Gli sforzi dei governi mitigano la crisi sulla supply chain

La Corea del Sud ha annunciato un programma di investimento al 2030 che vale 450 miliardi di dollari tra fondi pubblici e privati per aumentare la produzione di chip. Ai chipmaker sono anche stati applicati nuovi sgravi fiscali per dar loro competitivà sul mercato.

La Cina ha messo in campo una serie di strumenti finanziari con cui sta investendo nei produttori nazionali di chip per liberarsi dalla dipendenza dalle tecnologie di Stati Uniti, Corea e Taiwan.

Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno approvato una legge sulla produzione industriale hitech che include un fondo da 52 miliardi di dollari per la ricerca, la progettazione e la fabbricazione di semiconduttori.

Secondo Moody’s questo coinvolgimento dei governi potrebbe aiutare a creare un mercato competitivo più equo e mitigare in parte la penuria di chip, soprattutto per quelli di memoria. I sussidi pubblici potrebbero infatti permettere l’ingresso sul mercato di produttori più piccoli e, quindi, di nuove forniture, anche di quei chip di generazioni precedenti di cui ha fame l’industria della connected car.

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